Dopo aver brevemente discusso dell’Atmosfera nel precedente post, fornirò alcune nozioni relative alla turbolenza che, come detto, è al centro delle preoccupazioni di molti passeggeri di velivoli commerciali. Esistono diversi tipi di turbolenza, in base ai fenomeni meteorologici che ne provocano la manifestazione. Tuttavia, in termini macroscopici la turbolenza può essere definita come l’insieme delle vibrazioni e dei fenomeni “sussultori” cui la cellula di un velivolo è soggetta durante il volo a causa del movimento di masse d’aria. In base a questa prima definizione, tutto ciò che causa degli scossoni al velivolo, pregiudicando la qualità del volo (se non addirittura mettendolo in pericolo), può essere considerato turbolenza. Anche il wind shear verticale, una corrente discensionale che scaturisce da una repentina variazione della direzione e dell’intensità del vento e che risulta particolarmente pericolosa a bassa quota e in fase di atterraggio, può a tutti gli effetti essere considerato turbolenza. La turbolenza si misura secondo una scala che ne tiene in considerazione gli effetti sul velivolo: si parla quindi di Light Turbolence, nel caso in cui il velivolo sia soggetto solo momentaneamente a deboli impulsi alla variazione di quota e assetto; Moderate, nel caso in cui l’intensità sia più elevata ma ancora sotto controllo e completamente gestibile dall’equipaggio; Severe, qualora le variazioni di assetto siano più ampie e violente e conducano momentaneamente l’aereo fuori controllo; Extreme, se il velivolo subisce delle sollecitazioni talmente violente da rimanere danneggiato ed andare completamente fuori controllo. Come è ovvio, una scala del genere, che misura gli effetti delle vibrazioni sul velivolo, permette di quantificare correttamente la turbolenza che colpisce aerei di tipo differente: è normale che una Moderate Turbolence per un B.777 non sia la stessa per un Tampico. Ovviamente, nella maggior parte dei casi, le manifestazioni di turbolenza che vi capiterà di incontrare non supereranno il livello Moderate; qualora un velivolo si trovi ad attraversare un’area soggetta a forte turbolenza, potrà richiedere al controllo del traffico aereo una deviazione alla rotta o un cambio di livello, che nel giro di alcuni minuti porteranno il velivolo in zone ben più tranquille. Inoltre, tutti i velivoli sono chiamati a segnalare repentinamente la presenza di turbolenza in rotta all’ente ATC competente, affinché l’intensità della stessa sia comunicata anche agli altri velivoli in procinto di attraversare la stessa zona a livelli prossimi a quelli interessati. Vale la pena sottolineare anche che tutti i velivoli, dall’A380 al C-150, possono essere interessati dalla turbolenza, anche se il tipo e l’intensità del fenomeno che può interessare un wide-body civile in volo sull’Oceano a 33.000 piedi non è nemmeno paragonabile a quella cui può essere soggetto un piccolo velivolo d’Aeroclub. Ricordo perfettamente la turbolenza che investiva il mio C-152 quando, decollato dall’aeroporto dell’Urbe, volavo sottovento al Monte Soratte (a Nord di Roma) inbound a Capranica. Il velivolo iniziava a vibrare a causa delle correnti d’aria piuttosto intense (per un aereo di quelle dimensioni) causate dalla presenza del rilievo e per evitare di sollecitare troppo il piccolo monomotore, dovevo ridurre leggermente la velocità. Ben altra cosa sono le vibrazioni che per diverse ore mi hanno accompagnato a FL330 bordo del B747-400 Qantas “VH-OJJ” durante la traversata del Pacifico, tra Australia e USA. Le cause dei due tipi di turbolenza che ho appena descritto sono infatti diverse. Nel primo caso, la turbolenza è dovuta alla presenza di un ostacolo che interrompendo il flusso della corrente d’aria genera un moto turbolento. Qualora, come nel caso specifico, l’ostacolo sia rappresentato da una catena montuosa, il fenomeno assume proporzioni più grandi dando luogo alle cosiddette Mountain Waves che, in presenza di condizioni di umidità favorevoli, possono dar luogo alle caratteristiche nubi a forma lenticolare o rotorica. Nel secondo caso (il volo Qantas 175), all’origine della turbolenza c’erano le forti perturbazioni sulla rotta che davano origine ai consueti moti convettivi associati ai temporali. Cosa differente (nelle cause) è la CAT, Clear Air Turbolence, la turbolenza in aria chiara. Questo tipo di turbolenza è associata alla presenza di jetstream, ovvero di correnti a getto che si generano per le differenze di pressione tra troposfera e tropopausa nelle zone di confine tra le due aree atmosferiche; queste correnti, movimentando grosse masse d’aria, causano turbolenza. I jetstream, di intensità notevole, viaggiano quasi parallelamente al suolo, ad altezze intorno agli 11 Km in direzione Ovest-Est sia nell’emisfero australe che in quello boreale, per effetto dell’accelerazione di Coriolis. Esistono due principali direttrici per le correnti a getto alle latitudini polari, in entrambi gli emisferi, e due direttrici per correnti “minori” subtropicali, in prossimità dell’equatore. Poiché nell’emisfero boreale, le correnti a getto si manifestano a latitudini elevate (fino ai 60° – 70° N), ne risultano interessate anche le aerovie transatlantiche: è anche per la presenza dei jetstream che i voli dagli Stati Uniti all’Europa durano anche 2 ore in meno rispetto ai voli verso occidente. Ed è sempre per la presenza delle correnti a getto che proprio durante i voli sull’Atlantico è più probabile incontrare una CAT. Ad ogni modo, niente paura. Si tratta di cose normalissime che vengono ampiamente tenute in considerazione nella programmazione del volo (o addirittura nella progettazione dei velivoli).
Ecco come appariva il cielo durante il volo sul Pacifico in condizioni di turbolenza (light/moderate)
In volo sul Pacifico in condizioni di turbolenza (light/moderate) in prossimità della linea di cambiamento di data.
Nubi basse (non significative quindi in termini di turbolenza) in avvicinamento a Los Angeles International.
Decollo da Kangaroo Island e volo verso Adelaide con un Saab 340B in assenza di turbolenza significativa anche se in presenza di nuvolosità.
Il fenomeno del Wind Shear è particolarmente pericoloso in fase di atterraggio.
La turbolenza di scia è infine un tipo di turbolenza particolare. Si tratta di vortici d’estremità (wake turbolence) generati dalla differenza di pressione tra superficie inferiore e superiore dell’ala: sul dorso alare c’è bassa pressione, mentre sotto l’ala c’è pressione più alta. In prossimità dell’estremità alare, la pressione tende ad equilibrarsi con un flusso che scorre dal basso verso l’alto (visto da dietro al velivolo, il flusso è orario sull’ala sinistra e antiorario sulla destra). Ovviemente, maggiore è la differenza di pressione tra dorso e ventre alare, maggiore sarà l’intensità dei vortici d’estremità. Quando l’aereo è un A380 o un Jumbo, l’effetto della turbolenza di scia è tale da poter causare seri problemi ad un aereo di medie o piccole dimensioni che si trovi ad attraversarne il flusso o che passi nelle vicinanze, visto che i vortici sono trasportati dal vento; poiché la turbolenza di scia di un aereo di grosse dimensioni in decollo (fase del volo in cui l’intensità dei vortici è massima, essendo massima la portanza generata e il peso del velivolo) può persistere fino a 4 minuti, i velivoli in partenza che lo seguono sono separati di diversi minuti anche in funzione della wake turbolence. Molti velivoli utilizzano delle Winglets, ovvero delle alette di estremità che hanno l’effetto di creare una sorta di portanza indotta che si oppone alla resistenza indotta generata dai vortici di estremità e migliorano quindi l’efficienza dell’ala.
Le Blended Winglets caratteristiche di alcuni 737-700 e 737-800. Le seconda foto si riferisce ad un atterraggio in presenza di perturbazioni tropicali a Cairns, in Queensland.
Non tutti i velivoli utilizzano le winglets, come i B767 e 777 (nella foto l’ala di un 767 Qantas in volo all’alba tra Cairns e Brisbane sopra un fitto strato di nubi).