Questo articolo è stato pubblicato sul numero 174, Aprile 2001 di Aeronautica & Difesa

Introduzione

Per l’Aeronautica Militare l’Operation Allied Force ha rappresentato la più importante operazione della sua storia recente, un impegno dal quale trarre numerosi insegnamenti. Terminato il conflitto, il primo in Europa dalla fine della 2^ Guerra Mondiale, le esperienze operative dei piloti protagonisti della guerra hanno permesso di mettere nero su bianco tutta una serie di lezioni apprese “sul campo”, quelle che gli anglosassoni chiamano Lessons Learned. Pagine e pagine di relazioni su ciò che ha funzionato bene e su ciò che non è andato come previsto sono state usate per iniziare a tracciare le linee guida per il futuro impiego del mezzo aereo in guerra e per mettere in evidenza gli errori commessi dai pianificatori e dagli esecutori della campagna aerea contro la Serbia. E’ per questo che i conflitti futuri e tutte le operazioni in aree di crisi saranno simili all’Allied Force (la prima che ha visto il Potere Aereo vincere da solo), o possibilmente migliori.
L’intervento nei Balcani è stato un incredibile “banco prova” della reale efficacia del potere della NATO e ha evidenziato come molti paesi europei, Italia inclusa, siano ancora molto indietro rispetto agli Stati Uniti in campo militare: bombe di precisione, sistemi di comunicazione avanzati e utilizzo degli AWACS sono solo alcuni esempi di “lacune” che molte nazioni dovranno colmare nel prossimo futuro per poter combattere al fianco del colosso statunitense.
Le “cartoline dalla guerra” che i piloti che hanno fatto pervenire agli stati maggiori e alle industrie nazionali, resteranno appese a lungo negli uffici dei decision makers per focalizzare meglio, nel futuro, le priorità delle forze armate: gli aggiornamenti dei mezzi delle aeronautiche alleate si baseranno sui risultati ottenuti dagli aerei in ambiente ostile reale e gli acquisti nel campo della Difesa saranno mirati a “tappare i buchi” laddove è necessario.
Questo è quanto è avvenuto anche ad uno dei vincitori dell’Allied Force italiana: il “Ghibli”.
La flotta AMX italiana si è avvicinata alla guerra con una bruttissima reputazione ma, un po’ a sorpresa bisogna dire, si è comportata così bene in un ambiente “high tech”, da guadagnarsi il rispetto di tutte le nazioni che hanno partecipato al conflitto. I risultati soddisfacenti di questo aereo nell’Allied Force hanno spinto l’A.M. a puntare ancora sull’AMX.
Per meglio comprendere come sia maturato questo inaspettato successo, per capire quali siano in fondo i difetti dell’aereo e scoprire il futuro del caccia italo-brasiliano, siamo andati ad Amendola, base dell’“Operazione Ghibli” e del 32° Stormo dell’Aeronautica Militare.

Amendola, la tana degli AMX

Amendola è una grande base aerea situata poco fuori Foggia, ai piedi del Gargano, sulla costa Adriatica. Fino a metà anni ‘90 è stata la base dei G-91T “Virus” della 60^ Brigata Aerea (e ancora prima della Scuola Volo Basico Avanzato Aviogetti), che addestrava tutti i piloti destinati alle linee caccia o bombardieri dell’Aeronautica. Quando i G-91Y “Yankee” furono ritirati dal servizio, il conterraneo 32° Stormo traslocò dall’aeroporto di Brindisi-Casale ad Amendola, acquisendo di lì a poco i nuovi AMX.
Due gruppi operativi formano oggi il 32° Stormo, il cui comandante è il Col. Alberto Dordoni: il 13° Gruppo Caccia Bombardieri e il 101° Gruppo OCU (Operational Conversion Unit) ai quali va aggiunta la 632^ Squadriglia Collegamenti. Sono ospiti della base pugliese anche gli F-16 della DAFT (Deployable Air Task Force) olandese e belga che sono impiegati quotidianamente in missioni di pattugliamento in Kosovo.

13° Gruppo FBA

Il 13° Gruppo è uno dei reparti italiani più famosi all’estero grazie anche all’aggressiva sharkmouth che colora tradizionalmente gli aerei di questa unità dai tempi dei G-91. Dal 1974 è uno dei gruppi italiani assegnati alla NATO. I “Falchi” hanno ricevuti i primi AMX il 30 novembre 1994. Dopo le prime difficoltà nella familiarizzazione con l’aereo il gruppo è diventato pienamente operativo nel ruolo OAS (Offensive Air Strike) e CAS (Close Air Support) con secondari compiti TASMO (Tactical Air Support to Maritime Operations). Negli ultimi anni i velivoli del 13° hanno preso parte a tutte le principali esercitazioni nazionali ed internazionali come la “Central Enterprise” e la “Clean Hunter” in Germania, la “ODAX” in Francia, la “Syrio” in Spagna, la “Maple Flag” in Canada e la “Bright Star” in Egitto. Queste manovre hanno consentito al gruppo di raggiungere un elevatissimo grado di prontezza operativa che gli ha permesso di prendere parte alle operazioni “Deliberate Guard” e “Deliberate Forge”. Come tutti i gruppi di AMX, il 13° è equipaggiato sia con velivoli monoposto che con uno o due AMX-T biposto.

101° OCU “Lampo”, a scuola di AMX

Il 101° Gruppo è il reparto responsabile dell’addestramento dei piloti destinati all’AMX provenienti dal corso pre-operativo svolto presso il 212° Gruppo di Lecce Galatina con i nuovi MB-339CD.
Il reparto ha in forza 18 AMX-T e 5-6 AMX che permettono al Gruppo di mantenere il suo secondario ruolo “strike”. Mediamente 12-15 piloti frequentano i corsi dell’OCU, 6 mesi che sono fatti di studio della macchina, di corso a terra, e di poco più di 60 missioni di volo per un totale di circa 80 ore di volo che permettono il raggiungimento della Limited Combat Readiness. Si inizia con un corso a terra di due settimane sugli impianti del velivolo svolto presso il locale C.M. che culmina con un test finale. Segue un’altra settimana di corso in cui i frequentatori apprendono dagli istruttori operazioni pre-volo e procedure di traffico aereo, oltre ovviamente a seguire dettagliate lezioni sulle emergenze. Dopo un altro test si inizia con l’addestramento al volo. L’aereo è abbastanza semplice quindi bastano una prova di accensione e rullaggio e 5-6 missioni di transizione per portare il frequentatore al primo volo da solista accompagnato da un istruttore su un altro velivolo in qualità di “chase”. Da questo punto in avanti l’addestramento include missioni BBQ (Bassissima Quota; più complesse di quelle svolte a Lecce), attacchi simulati e reali nei poligoni di Decimomannu, volo da solista e in formazione (con navigazioni a lungo raggio in Italia e all’estero), rifornimento in volo (con l’ausilio dei B-707 del 14° Stormo), uso dell’armamento e combattimento aria-aria basico (più che altro nel tentativo di far apprendere agli allievi i limiti operativo della macchina in questo campo). In quest’ultima fase si svolgono missioni di crescente difficoltà. Alla fine del corso il frequentatore ha raggiunto la L.C.R. e viene assegnato ad uno dei gruppi AMX: 13°, 14°, 103° o 132°.
Gli istruttori sono piloti combat ready che hanno più di 1000 ore di volo sull’AMX. Per questa ragione sono impegnati nelle campagne di rischieramento presso il Polygone in Europa centrale, frequentano i corsi T.L.P. (Tactical Leadership Programme) e sono stati impegnati nelle operazioni nella ex Jugoslavia.

L’AMX in guerra: “Operazione Ghibli”

Durante la guerra contro la Serbia, Amendola era, insieme a Gioia del Colle, la base su terraferma più vicina al Kosovo. Le difese locali erano in allarme “Bravo”, la 732^ Batteria Spada era in allerta, pronta a lanciare i suoi Aspide contro eventuali incursori e gli AMX decollavano incessantemente verso il Kosovo con bombe di vario tipo appese ai piloni subalari. Per cercare di capire cosa fosse la guerra per un pilota di AMX abbiamo incontrato il Comandante del 13° Gruppo, il T.Col. Gustavo Cicconardi, un “veterano” dell’Allied Force. Durante il conflitto, Cicconardi ricopriva un incarico fondamentale: era capo ufficio operazioni della base di Amendola.
“Quando i primi aerei alleati iniziarono a bombardare i loro bersagli, noi eravamo già pronti ad entrare in azione” ci ha raccontato, “ci eravamo addestrati per anni a volare come in guerra vera, l’unica differenza è che in quel momento, oltre a volare, c’erano molte altre cose da fare “.
Come Capo Ufficio Operazioni Cicconardi, infatti, non solo volava in Serbia sul suo AMX ma doveva risolvere moltissimi altri problemi logistici. Amendola ospitava già un elevato numero di aerei e di personale di varie nazioni ed era necessario “fare spazio” ad altri rinforzi alleati. Occorreva trovare un posto per i piloti e gli specialisti, per gli armamenti e ovviamente anche per gli aerei che stavano arrivando per incrementare la potenza di fuoco della NATO. Per molti anni, almeno fino a quando il primo gruppo operativo non aveva raggiunto Amendola nel 1994, la base non aveva mai ospitato unità della prima linea. Questo significava che nessuna arma strategica o tattica era presente nella base e non si era mai manifestata la necessità di costruire degli shelters per il ricovero degli aeromobili e dei loro missili.
Questa situazione, non particolarmente grave in tempo di pace, divenne critica durante la guerra poiché ordigni reali dovevano essere messi a disposizione di aerei italiani e stranieri che, parcheggiati “all’aperto” giorno e notte, diventavano un bersaglio molto pagante per le forze armate di Milosevic in caso di rappresaglia nei confronti del nostro paese. Per prima cosa furono costruiti ricoveri corazzati, depositi e terrapieni per le armi: “Avevamo poco tempo, la guerra era in corso” racconta Cicconardi, “inoltre la presenza degli F-16 che trasportano idrazina (che alimenta i sistemi idraulici ed elettrici in caso di spegnimento del motore NdR) ci costringeva anche a creare delle apposite aree di sicurezza in prossimità della testata pista 29”. In poco tempo, con sforzi incredibili da parte del Genio Campale A.M., Amendola fu completamente ridisegnata per adattarsi alla nuova situazione.
Due “soft hangars” divennero disponibili per proteggere e nascondere qualche aereo, gli altri furono parcheggiati sul piazzale “Alpha” prossimo ai raccordi. Gli Starfighters che assicuravano la difesa di punto subito a ridosso della costa italiana, pronti allo “Scramble” in 15 minuti, vennero allineati nel piazzale accanto alla pista, con piloti e crew chief ospitati in containers costruiti in prossimità delle vie di rullaggio.
Presto, raggiunta la superiorità aerea nei Balcani, la possibilità di attacchi che distruggessero i velivoli della base divenne più remota e fu così più facile trovare lo spazio per ospitare anche tutti gli AMX delle basi del Nord che vennero trasferiti ad Amendola per dare inizio all’“Operazione Ghibli”.
“Questo aeroporto era a una sola ora di volo dagli obiettivi e potevamo sfruttare questa vicinanza per volare più missioni nello stesso intervallo di tempo”. Anche i piloti beneficiavano della loro nuova base, almeno per due ragioni: i voli erano meno stancanti (gli equipaggi erano già soggetti a turni massacranti), inoltre, mentre fuori dalle basi del settentrione imperversava la protesta dei pacifisti contro la guerra, ad Amendola, che non era sotto i riflettori come Ghedi, Aviano, Istrana o Piacenza, si stava tranquilli.
L’“Operazione Ghibli” era composta da 19 velivoli, dei quali 10 dovevano essere sempre pronti per volare. Si trattava di velivoli dell’ultima generazione con le più avanzate dotazioni di difesa passiva, appartenenti al 3° Lotto; una forza di reazione composta dai velivoli del 13°, 14°, 103° e 132° Gruppo e dai piloti del 101°. L’OCU, infatti, non partecipava con i suoi velivoli ma solo con i suoi esperti piloti in quanto, pur essendo molto simili ai monoposto, gli AMX-T hanno minore autonomia e sono anche meno manovrabili.
I “Ghibli” volavano mediamente due missioni al giorno. Cicconardi ricorda: “Volavamo soltanto missioni diurne poiché le luci del cockpit non erano ancora state rese compatibili con i Night Vision Goggles. Impiegavamo sia bombe “intelligenti” IR “Opher”, che free fall Mk 82; ricevemmo qualche GBU-16 verso la fine della guerra. Le regole d’ingaggio (ROE) erano molto restrittive perciò non sparavamo mai senza avere contatto visivo con il bersaglio, per evitare danni collaterali”. Più di una volta gli AMX tornarono indietro senza sganciare le proprie bombe a causa delle condizioni meteorologiche presenti nell’area Balcanica in quel periodo ed almeno in un’occasione un velivolo fu costretto a sganciare il proprio armamento in una delle zone pre-pianificate dell’Adriatico per evitare pericoli per le popolazioni dei centri abitati sorvolati durante le fasi di atterraggio.
Alcune delle missioni erano on-call CAS, cioè si interveniva su chiamata dell’Airborne Forward Air Controller (A-FAC). Ad ogni flight era assegnata una “finestra”, se l’A-10 non trovava un bersaglio da assegnare agli AMX durante le orbite d’attesa prestabilite, si tornava indietro.
I piloti di Amendola ci hanno confidato anche di essere stati illuminati da SA-2 Guideline, SA-3 Goa e SA-6 Gainful durante missioni a media quota; tuttavia non hanno potuto rivelarci quanti missili siano stati lanciati realmente contro i “Ghibli” durante la guerra.
L’AMX è stato uno strumento valido per vincere la guerra, come afferma il Cap. “Mao” La Montagna: “il nostro velivolo era così apprezzato dagli americani che una volta uno di loro ci disse “Abbiamo bisogno solo di AMX e A-10 per vincere questa guerra”: aveva potuto constatare che il nostro era un aereo estremamente affidabile ed efficace nel teatro di operazioni”.
Il “Ghibli” poteva contare sulla sua eccellente dotazione avionica, su un’ottima autonomia e su sistemi di navigazione estremamente accurati; in futuro sarà una macchina ancor più letale, grazie alle nuove LGB (Laser Guided Bombs) che rimpiazzeranno le Opher israeliane a guida all’infrarosso.
L’introduzione delle bombe cosiddette “intelligenti” è già in atto: malgrado il 13° Gruppo sia stato l’ultimo reparto a ricevere l’AMX, i “Falchi” sono stati i primi piloti ad essere qualificati al lancio con le bombe Paveway.
“Abbiamo effettuato le prove di lancio nei poligoni di Salto di Quirra e Capo Frasca decollando da Decimomannu, usando la tecnica del buddy lasing: i Tornado del 156° Gruppo ci “illuminavano” il target con il loro pod CLDP e noi lanciavamo le nostre bombe” ci ha detto Cicconardi.
Questa tecnica può essere utilizzata per operazioni congiunte con velivoli di altre forze aeree anche se in futuro, l’intera flotta di “Ghibli”, sarà dotata di pod di designazione del bersaglio della Thompson-CSF, per svolgere le missioni di attacco in autonomo.
“Il successo che l’AMX ha riscosso in guerra va ricercato nella tipologia di missioni che siamo stati chiamati a svolgere in Kosovo: le CAS. Il supporto aereo ravvicinato rappresenta la nostra specialità, la missione per la quale l’AMX è stato concepito. Il “Ghibli” è stato criticato per anni da persone che non lo conoscevano, ma durante l’Allied Force, si è dimostrato in grado di mettere in mostra il meglio di sé: eccellente avionica, buona autonomia e discrete velocità di crociera e di penetrazione. Inoltre è un aereo abbastanza confortevole, un dettaglio non da poco, se si affrontano missioni lunghe e stressanti”. Il fatto che le missioni si siano svolte a media quota, in uno scenario nel quale era stata affermata la superiorità aerea, con il supporto di aerei da guerra elettronica, ha reso sicuramente il compito dei “Ghibli” di casa nostra ancora più facile.
Inoltre, a differenza della flotta di Tornado IDS, gli AMX erano già pronti ad entrare in azione quando l’Allied Force è iniziata: avevano tutti due radio per comunicazioni criptate “Have Quick” necessarie per impedire al nemico di ascoltare le proprie comunicazioni, un dettaglio non da poco, se si considera che questo tipo di equipaggiamento era un requisito necessario per essere inseriti nei “package” alleati.
Allo stesso tempo la guerra ha messo in evidenza anche i difetti del velivolo italo-brasiliano, il più importante dei quali risiede nel motore Rolls-Royce RB-168 Spey Mk.807. E’ un propulsore sprovvisto di post-combustione, in grado di erogare soltanto 5.100 Kg di spinta. Produce troppo fumo e visto il suo basso rapporto spinta/peso, consente al pilota solo due manovre evasive contro un potenziale aggressore: “se un nemico prova ad ingaggiarti, puoi affidarti alla buona manovrabilità dell’aereo, ma se non sei in grado di toglierti di coda l’avversario con due virate ad alto numero di G allora sei quasi spacciato perché avrai già dissipato tutta la tua energia di manovra” ci ha spiegato uno dei piloti del 13° Gruppo.

Il presente

Come avviene per l’intera Aeronautica Militare, anche il 32° Stormo, che dell’Arma Azzurra rappresenta una piccola ma importante realtà, sta soffrendo dell’esodo dei piloti verso le compagnie aeree civili. Anche qui i piloti non sono molti e quelli ancora in servizio sono spesso impegnati in corsi, lavori d’ufficio e servizi vari che li tengono lontani dall’attività di volo e che li costringono a fare i “salti mortali” per raggiungere le 180 ore di volo annue necessarie al mantenimento della Combat Readiness.
Durante la guerra, lo Stormo doveva “generare” molte sortite e i piloti disponibili erano veramente pochi.
“Anche oggi, può succedere che un gruppo di AMX come il 13° abbia più aerei efficienti che piloti da mandare in volo” ci ha spiegato Cicconardi.
L’AMX non crea grossi problemi di manutenzione e gli specialisti apprezzano la sua buona efficienza: sono lontani i tempi in cui c’erano pochi aerei pronti al decollo in linea volo la mattina!
Un altro tipo di problema è, piuttosto, rappresentato dalle restrizioni cui sono soggetti i velivoli italiani durante l’addestramento al volo a bassa quota. Si tratta di restrizioni nate a seguito del tragico incidente del Cermis che hanno, per certi versi, reso il quotidiano addestramento dei reparti italiani meno realistico. L’attività BBQ (Bassissima Quota) dei cacciabombardieri italiani è oggi svolta a quote non inferiori ai 500 piedi AGL (Above Ground Level, sul livello del suolo) in apposite aree “Tattiche” caratterizzate da densità abitativa abbastanza scarsa. Altrove bisogna volare ad almeno 1000 piedi o anche più in alto. Si tratta di quote troppo alte: in caso di guerra, laddove non fosse completamente assicurata la superiorità aerea, bisognerebbe volare molto più bassi per non essere colpiti dalla contraerea e sfruttare il “terrain masking”. Anche la reazione al lancio di un SAM necessità rapide discese a bassissima quota dove bisogna essere abituati a volare per non scoprirsi “pesci fuor d’acqua” quando ci si avvicina molto al fondo della valle e alle cime degli alberi per scampare a un attacco.
Siamo andati in volo con il 13° Gruppo per seguire una missione addestrativa a bassa quota di routine. Il volo con profilo Low-Low-Low prevedeva una breve navigazione, l’ingresso in territorio nemico cercando di non essere visti dai caccia nemici (Tornado F.3 di Gioia del Colle), il bombardamento di un bersaglio posizionato in territorio ostile circondato da minacce varie (aerei e batterie SAM), “egress” (uscita dall’area del bersaglio), e rientro alla base di partenza. Quello che ci ha colpito, a parte le caratteristiche peculiari di questo tipo di volo è che volando in formazione “box” a 500 piedi nell’Area Tattica Basilicata (una zona tra Puglia, Basilicata e Calabria) i piloti non solo prestavano la massima attenzione al rispetto di tempi, prue e procedure ma tentavano per quanto possibile anche di evitare il sorvolo dei più piccoli centri abitati esistenti lungo la rotta da Amendola al nostro target simulato, una galleria dell’autostrada nei pressi di Sibari, in Calabria. Ogni pilota è molto sensibile al problema dell’impatto ambientale del volo a bassa quota e tenta costantemente di evitare di arrecare disturbo alle popolazioni residenti in aree frequentemente sorvolate. Per fortuna di tutti, presto anche gli AMX, dopo i Tornado, si “trasferiranno” a Goose Bay, in Canada, da dove si possono raggiungere zone completamente disabitate dove volare a quote estremamente più realistiche.

Il futuro

Oltre al prossimo rischieramento in Canada, ci sono altre novità in vista per il “Ghibli”:
tutti gli AMX riceveranno la piena compatibilità con i sistemi NVG (Night Vision Googles), verranno dotati di “glass cockpit” (con un nuovo e più grande “wide angle” HUD), di una suite elettronica migliorata, di un nuovo e più potente Radar Grifo, di 3 MFD (Multi.Function Display) da 7 pollici e del sistema JTIDS (Joint Tactical Information Distribution System) per aumentare la “situational awarness” del pilota e permettergli lo scambio di informazioni via data-link con altri aerei, con gli AWACS e i centri radar.
“Siamo interessati alle bombe a guida GPS e al JDAM (Joint Direct Attack Munition)” ci ha rivelato Cicconardi, che ha poi continuato: “avremmo bisogno anche di un missile antinave stand-off con il quale poterci dedicare anche all’originaria missione del 13° Gruppo, la TASMO (Tactical Air Support to Maritime Operations)”. Al momento attuale l’A.M. non dispone di missili di questo tipo anche se sia l’Exocet che il Marte sono stati sottoposti a campagne di valutazione. L’allenamento in questo tipo di missione continua, malgrado non ci siano i mezzi per svolgerla: gli scenari proposti dalle esercitazioni congiunte con un unità navali sono molto realistici e permettono di addestrarsi in ambiente degradato da emissioni EW come in un vero e proprio poligono elettronico.
Il consorzio AMX ha offerto all’A.M. una versione del “Ghibli” motorizzata con Eurojet EJ200 senza postbruciatore, con il quale i piloti del 13° Gruppo e di tutta l’A.M. potrebbero sfruttare al meglio le potenzialità del “Ghibli”.

© David Cenciotti