Allo scopo di vedere da vicino gli uomini della 609^ Squadriglia alle prese con la nuova missione-tipo, ho avuto la possibilità di prendere parte ad una delle sortite addestrative del reparto, volando a bordo di un AB.212 ICO in un ipotetico intervento di recupero di un equipaggio costretto ad eseguire un crash landing in territorio ostile, in ambiente montano. Come di consueto, metà della missione si svolge a terra, molto prima che il team della 609^ che interpreterà il ruolo dell’equipaggio in attesa del recupero sulle montagne, venga depositato sul Monte Maggiore, pochi chilometri a nordest dell’aeroporto di Grazzanise. Il briefing, tenuto dal capitano Ernesto Esposito, che sarà Capo Equipaggio del velivolo leader della formazione impegnata nel recupero, avviene alla presenza del comandante maggiore D’Antonio, nella “nuova” aula briefing della Squadriglia, un locale che come tutta la “villetta” del reparto ha subito un processo di svecchiamento che le ha ridato un’immagine moderna e operativa. I dati salienti della missione, inseriti nel computer dell’aula, vengono proiettati sull’apposito telo a scomparsa sul muro dal tenente Giacomo Andreotti, che sarà il 2° pilota a bordo: a parte la composizione degli equipaggi, il nominativo radio e lo stimato di decollo, colpisce vedere sul muro anche la formazione tattica che dovrà essere adottata dai due elicotteri durante la missione. Oltre alle frequenze del TACAN aria-aria che permetterà ai due elicotteri di avere un’indicazione strumentale della distanza reciproca (utile qualora si perda il contatto visivo), vengono anche condivise tutte le parole in codice che permetteranno via radio di autenticare reciprocamente il team di recupero e i survivors. Tutto lo scambio di codewords avverrà infatti in frequenza, usando una tra la FM o la U/VHF, radio che non dispongono del sistema Have Quick anti-intercettazione. Esiste una frase o un nome convenzionale per tutto: per l’autenticazione, per la frequenza su cui comunicare, persino per indicare agli elicotteri in arrivo che non è il caso di proseguire la missione poiché i survivors sono stati catturati e sono costretti a parlare dando indicazioni imposte dai ribelli che preparano un’imboscata agli “AB”. Non può mancare neanche la consueta e rituale descrizione del comportamento da adottare in caso di emergenza, arricchita rispetto alle precedenti occasioni dai problemi con la mitragliatrice. C’è infatti una particolare procedura da seguire anche per il colpo involontario o per quello rimasto in canna; aspetti che non possono essere improvvisati, specie quando si viaggia con un altro mezzo nelle vicinanze. Il briefing si conclude con i survivors che, zaini in spalla, si avviano verso il piazzale per essere depositati nella zona d’operazioni. Vista la natura imprevedibile di un recupero del genere, i “superstiti” non si faranno trovare laddove saranno depositati, ma dovranno attuare un piano di evasione e comunicare, ovviamente in codice, le proprie coordinate agli elicotteri al momento che questi saranno a portata visiva. Inutile dire che la zona di operazioni non è un cucuzzolo brullo di una montagna che faciliterebbe troppo l’individuazione del luogo di rendez-vous, ma un versante reso quasi inaccessibile dalla folta vegetazione. Facciamo tutti i calcoli del caso per capire quanti dei 9 supersiti potranno essere imbarcati su un elicottero e quanti sull’altro. E’ fondamentale avere le idee ben chiare perché un elicottero troppo pesante potrebbe avere dei problemi a risollevarsi da terra con i militari recuperati mentre un “AB” reso leggero da un rifornimento parziale di carburante, pur potendo ridecollare facilmente per riportare a casa l’equipaggio recuperato, potrebbe avere problemi di autonomia. Sono le 09:00 locali. Il primo elicottero, Jolly 01, parte per trasportare in zona d’operazioni l’equipaggio che più tardi sarà recuperato. Il decollo della Jolly 02, questo il nominativo della missione di salvataggio, avverrà alle 15:10 locali e nelle 5 ore e mezza a disposizione, i survivor si addestreranno in tecniche di sopravvivenza, movimento tattico e carteggio. E’ importante che a questa attività partecipino tutti, piloti, operatori di bordo e aerosoccorritori, perché come mi spiegano “non è detto che i piloti sopravvivano al crash landing e gli altri membri dell’equipaggio devono essere in grado di muoversi autonomamente se vogliono essere recuperati sani e salvi”. Dopo una mezz’oretta , il Jolly 1 rientra. I survivor sono sul posto e noi possiamo dedicarci alla solita analisi dei bollettini meteo, dei NOTAM e delle restrizioni di traffico. Sulla base è in corso un’esercitazione, la Destined Glory, che vede rischierati anche assetti stranieri; è necessario porre un’attenzione particolare, volando in formazione, per entrare e uscire dalla zona aeroportuale, poiché gli F-16 greci e turchi ospiti di Grazzanise potrebbero non essere a perfetta conoscenza delle procedure in vigore e “sforare”. I controlli sui due velivoli corrono via veloci, il rifornimento è stato completato e gli equipaggi si possono dirigere verso la sala equipaggiamenti per prendere cosciali, cartine e quant’altro, ed indossare anche il casco. Una novità assoluta introdotta dalla partecipazione a missioni operative è il fatto che, a differenza dei piloti, gli aerosoccorritori e gli operatori di bordo alle mitragliatrici indossano, non solo il casco, ma anche la maschera d’ossigeno. Attraversiamo il piazzale della Squadriglia e raggiungiamo gli elicotteri parcheggiati l’uno accanto all’altro in piazzola. Lo specialista mi imbraca per permettermi di muovermi all’interno dell’elicottero, mentre i “miei” piloti, il capitano Andrea Bonaccorsi, e il tenente Roberto Grasso, completano le ispezioni esterne dell’elicottero e iniziano la check list pre-decollo. Il nostro AB.212 è un ICO in configurazione “pulita”, ovvero senza mitragliatrici brandeggiabili, anche se in volo ci comporteremo come se avessimo anche noi le armi affacciate sui due lati della fusoliera. La prima cosa che mi salta all’occhio sono le differenze rispetto ad un HH-3F configurato per una missione CSAR: l’AB.212 dispone di due portelloni scorrevoli che aperti a fondo corsa aprono completamente l’elicottero sui due lati, permettendo l’imbarco di personale e truppe senza necessità di rimozione dell’arma che è compatibile anche con il verricello. Inoltre, i mitraglieri dell’“AB” siedono con i piedi poggiati ai supporti delle MG e non si sporgono dai finestroni come sul Pelican. Questo consente loro di affacciarsi (anche se non è consigliabile esporsi completamente al flusso d’aria, specie se in manovra e ad alta velocità), per provare a dare un’occhiata alle ore 6 del velivolo che, rispetto all’HH-3F, non sono “coperte” da un’apposita postazione di fuoco. Tutto è pronto per l’avviamento. Come da copione, dopo aver verificato che il personale di terra sia a distanza di sicurezza, Bonaccorsi e Grasso avviano i motori. L’elicottero reagisce con qualche vibrazione all’aumento della velocità di rotazione delle pale, dopodiché si stabilizza. Solo il rumore è molto forte nella fusoliera, investita anche dalla massa d’aria messa in movimento dall’altro elicottero che ci aveva preceduto di poco all’avviamento. Partiremo in coppia, con il leader che lascerà la piazzola alcuni secondi prima di noi. Il numero 1 sfila basso sull’erba alla nostra sinistra, i giri aumentano, l’elicottero si alza a pochi centimetri da terra e inizia contemporaneamente ad accelerare, inclinando il muso in avanti. Iniziamo una veloce salita ricongiungendo sull’altro elicottero. Il transito attraverso le zone di controllo di Grazzanise avviene in formazione stretta, un profilo molto poco “Combat”. In teatro la formazione sarebbe molto più larga, probabilmente una “line abreast” (in linea di fronte) che permetterebbe ai due velivoli di coprirsi reciprocamente e che consentirebbe ad entrambi di manovrare liberamente senza il rischio di collidere in caso di lancio di missili terra-aria. Nel nostro caso invece c’è da fare i conti con il traffico dell’aeroclub di Capua e quindi dobbiamo obbligatoriamente seguire una rotta standard. Prua 035, 500 piedi di quota e raggiungiamo l’autostrada A-1, iniziando contemporaneamente ad assumere un comportamento più aggressivo e più adatto al contesto addestrativo. Viriamo repentinamente per scambiarci la leadership della formazione ed assumere un rotta quasi imprevedibile mentre iniziamo una graduale salita per superare i primi rilievi. “Riccio, Riccio dalla Jolly 02”: il leader tenta un primo contatto radio con la pattuglia a terra. Probabilmente siamo ancora troppo lontani perché malgrado l’altezza non riusciamo a sentire alcuna risposta. Non è il caso di ritentare, la disciplina radio nel caso di recupero di survivor in territorio nemico è fondamentale per non permettere a chi fosse in ascolto sulle frequenze utilizzate dalla formazione di scoprire l’esatta posizione dei “superstiti” in fuga. Voliamo a 100 nodi sopra dei boschi fittissimi che non lasciano intravedere alcuno spazio per atterrare. “Prepariamoci ad impiegare il verricello” è il messaggio che il capitano Esposito ci trasmette in frequenza. Tentiamo nuovamente il contatto radio alla quota di circa 3.000 piedi mentre viaggiamo leggermente spaziati in una valle piuttosto stretta che attraversiamo ogni 2-3 minuti con un’orbita abbastanza ampia che ci fa sfilare alla sinistra del Monte Maggiore. Ci manteniamo in una posizione di copertura, leggermente più alti alle ore 4 del leader. I “gunners” che impugnano le due mitragliatrici MG muovono la testa a destra e sinistra freneticamente, per identificare il prima possibile qualsiasi minaccia. Dopo un paio di giri riusciamo finalmente a metterci in contatto con “Riccio” che ci passa in codice le proprie coordinate e ci informa di averci in vista leggermente più a sud. Le coordinate vengono convertite ed inserite nei GPS portatili mentre i due elicotteri virano verso il punto di rendez-vous. Il breve tragitto che ci separa dalla pattuglia ci permette di organizzare la delicata fase di recupero: andrà a fondo valle prima il numero 1 che recupererà quattro militari mentre noi eseguiremo delle strette orbite a quota più alta in copertura. Dopodiché invertiremo i ruoli e sarà il nostro turno di recuperare i restanti superstiti. Riduciamo gradualmente la velocità mentre il numero 1 inizia l’avvicinamento al punto di recupero. Trasliamo a 40 nodi vigilando sull’altro AB che intanto sta tirando su la prima tranche di superstiti. L’operazione procede spedita e in una manciata di minuti sono tutti a bordo. L’AB-212 accelera e si disimpegna, salendo di quota. E’ il nostro turno. Eseguiamo una sorta di circuito a goccia rallentando gradualmente e scendendo di quota. Siamo intorno ai 2.400 piedi di quota, ad entrambi i lati abbiamo vette più alte di noi un migliaio di piedi. La posizione è scomoda, oltretutto gli alberi sono piuttosto alti. Scendiamo fino a 50 piedi seguendo le indicazioni fornite attraverso l’interfono dall’operatore di bordo che, affacciato dal portellone destro, manovra con la mano sinistra la leva del verricello. Le sue indicazioni, preziose per posizionare l’elicottero esattamente sulla verticale dei survivor, sono un flusso ininterrotto di informazioni che permette al pilota di avere la perfetta consapevolezza di cosa sta avvenendo sul lato destro dell’elicottero e la posizione del verricello. E’ il momento più delicato di tutta l’operazione, quello in cui il velivolo è più vulnerabile. Qualora fossimo impegnati in una missione di recupero in territorio ostile gli occhi dei piloti e degli operatori di bordo correrebbero veloci su tutti i 360° per identificare il prima possibile qualsiasi attività sospetta. Mentre il leader orbita sopra di noi, uno dopo l’altro portiamo a bordo ufficiali e sottufficiali della Squadriglia. “Questo elicottero è una bestia” è il commento di Bonaccorsi mentre l’AB.212 riprende quota e accelera senza denunciare alcuna difficoltà. Ricongiungiamo la formazione mentre iniziamo la fase di rientro. La visibilità ora è ottima, si vede il mare a largo di Mondragone e la base di Grazzanise distante 15 miglia di fronte a noi. La rotta di rientro è pressoché identica a quella percorsa all’andata e in una decina di minuti arriviamo in prossimità dell’aeroporto. Come si conviene per un rientro tattico, sfiliamo ad alta velocità accanto alla Torre, per un sottovento stretto e successivo atterraggio in formazione sulla piazzola della Squadriglia. I velivoli si mantengono in formazione stretta eseguendo tutto il circuito all’interno del sedime aeroportuale e terminando il volo con un avvicinamento ripido, quello più adatto per mettere i pattini a terra. Una misura di sicurezza superflua a Grazzanise ma che potrebbe essere utile a breve, in caso di rischieramento “fuori area”.
© David Cenciotti