Questo articolo è stato pubblicato sul numero 199, Maggio 2003 di Aeronautica & Difesa

Satelliti, Internet, GPS e computer: non sono solo questi i protagonisti della guerra iper-tecnologica combattuta in Irak. Al fianco delle tecnologie della nuova generazione, nell’Operazione “Iraqi Freedom” ha preso parte un esercito tutto particolare, quello degli animali. Migliaia di delfini, otarie, pappagalli e cani “in divisa” hanno infatti accompagnato i militari della coalizione anglo-americana nella guerra contro il regime iracheno svolgendo dei compiti specifici vitali per il successo finale; missioni che nessuna delle tecnologie attualmente disponibili avrebbe potuto svolgere meglio. Eppure, questa da parte dei migliori amici dell’uomo è stata un’assistenza su cui gli eserciti di tutto il mondo, storicamente, hanno sempre potuto contare. Basti ricordare i piccioni viaggiatori necessari a creare quelli che oggi chiameremmo “link” tra le linee di un esercito, o le miriadi di battaglie combattute dalla fanteria a cavallo o, ed è forse il caso più eclatante, si potrebbe pensare ad Annibale che con i sui elefanti sfidò i Romani nel 218 avanti Cristo. Se poco meno di duemila anni il fatto che dei pachidermi accompagnassero l’uomo in guerra poteva essere una cosa quasi normale, oggi, con la cyberwar, le armi “intelligenti”, i Joint Star e il laser è obiettivamente più difficile da comprendere. Aeronautica & Difesa vi spiega come e perché nell’Iraqi Freedom, accanto ai SAS inglesi o alle Special Forces americane, sono state impiegate varie specie animali in missioni vitali nell’economia della guerra.

Lo operazioni di sminamento con i delfini e le otarie

Ha suscitato il maggior interesse, specie per la pubblicità che ha avuto da parte dei mass media, l’impiego durante il conflitto in Irak di delfini ed otarie per le operazioni di sminamento del canale di Khor Abd Allah, fondamentale punto di accesso al territorio iracheno di rifornimenti e aiuti umanitari. La “mina” è un’arma che ha sempre avuto lo specifico scopo di materializzare una minaccia al traffico nemico. Utilizzata con scopi di deterrenza o tatticamente nel tentativo di limitare, se non impedire del tutto, la libertà di navigazione è in tutte le crisi internazionali un nemico da combattere con tutte le forze. A maggior ragione se il tratto di mare interessato dalle mine è limitato e non c’è alcun modo di trovare rotte alternative per raggiungere la stessa destinazione. Già durante le fasi precedenti allo scoppio delle ostilità in Irak il tratto di mare antistante i circa 60 chilometri di costa irachena era stato fatto oggetto di un’intensa attività di posa di ordigni che avevano lo scopo di impedire l’accesso dal mare all’Irak attraverso il porto di Umm Qasr, l’unico porto di acqua profonda sul Golfo Persico). Malgrado le imbarcazioni statunitensi ed australiane avessero svolto un controllo capillare del naviglio in transito nel canale di Khor Abd Allah (un’attività di sorveglianza che avvalendosi del prezioso supporto fornito dagli elicotteri CH-53E e da velivoli P-3 “Orion” aveva permesso l’intercettazione di almeno quattro battelli che trasportavano un totale di 100 mine) non era possibile garantire un accesso sicuro al porto di Umm Qasr per la possibile presenza di mine di profondità. E’ stato per questo che accanto a cacciamine e a nuclei di sommozzatori la US Navy ha deciso di utilizzare nell’Iraqi Freedom un vero e proprio esercito di animali specializzati nella caccia alle mine. Dieci delfini, divisi in tre gruppi di appoggio alla USS Guston Hall e venti otarie, già da febbraio a bordo delle unità delle unità del 5th Fleet (Quinta Flotta), hanno operato con la marina statunitense per la ricerca e la localizzazione delle mine sulla rotta di avvicinamento al porto iracheno. I delfini sono stati addestrati dalla Navy per sfruttare efficacemente il loro “sonar naturale” e percepire la presenza di ordigni pericolosi a distanza di diverse miglia. Portano, su una pinna, una telecamera che invia le immagini ad un centro di controllo su una nave che tuttavia non ne limita i movimenti. Sulla base delle immagini trasmesse dal delfino in prossimità della minaccia l’operatore può guidare l’intervento di un nucleo di operatori subacquei con battello pneumatico attrezzato al trasporto e rilascio di cariche esplosive di controminamento. Kahili, Kona, Punani e Jefe, questi alcuni dei nomi dei mammiferi anti-mine, hanno raggiunto il Golfo in piscine appositamente allestite all’interno di un C-5 dell’Air Mobility Command con un volo di 28 ore.
Le otarie (più comunemente “leoni marini”) sono parenti strette delle foche ed hanno la peculiarità di poter scandagliare senza grossi problemi i fondali più profondi raggiungendo in pochissimi secondi profondità di 200-300 metri senza problemi di compensazione. Sono dotate di uno straordinario udito e di un’acutissima vista che permette loro di vedere a distanza molto elevata anche a quelle profondità dove la luce è molto scarsa. La loro capacità di camminare anche sulla terra ferma li rende particolarmente idonei a perlustrare i fondali. Anche i “leoni marini” sono dotati di telecamere che permettono di riprendere il tratto di mare nel quale nuotano inoltre, tramite uno speciale sistema, schiacciando il muso contro un ordigno o un mezzo nemico permettono di inviare un allarme agli operatori sulle imbarcazioni. Mentre per le otarie l’impiego in guerra è una prima assoluta, i delfini non sono nuovi ad impieghi di guerra: furono impiegati per fare strada alle petroliere che dovevano attraversare le acque del Golfo rese pericolose dal conflitto Iran-Irak e già nel 1991 all’epoca della prima Guerra contro il regime di Saddam Hussein, furono utilizzati dalla US Navy nell’infausto ruolo di vedette-kamikaze. Portavano sui musi degli ordigni esplosivi da far esplodere contro eventuali battelli nemici che minacciassero le unità alleate. Le proteste degli animalisti dopo l’Operazione Desert Storm furono ascoltate ed oggi non sono più chiamati a quel tipo di sacrificio.
L’efficienza di queste “reclute” con le pinne è incredibile: sono intelligentissimi e quindi facilmente addestrabili, lavorano 24 ore su 24 senza stancarsi più di tanto, e l’unica retribuzione che chiedono è un pasto sostanzioso a base di sardine. Tanto per dare un’idea di quanto il loro impiego sia irrinunciabile si pensi (ovviamente con le dovute proporzioni) che per svolgere operazioni analoghe servirebbe un Cacciamine dotato di sistema di radionavigazione di precisione e tracciamento automatico e un radar di precisione anch’esso associato al sistema di tracciamento automatico, un ecogoniometro a profondità variabile per le funzioni identificazione e neutralizzazione, una televisione subacquea semovente e filoguidata.

Gli altri animali impiegati

Un po’ più al riparo dagli onori della cronaca altri animali hanno dato un importante contributo alle operazioni militari in Irak. La specie più numerosa è il cane: più di 1.600 sono impiegati dalle forze di terra per la ricerca di depositi nascosti di armi chimiche e per sorveglianza delle basi aeree o dei campi nei quali sono custoditi i prigionieri. Poi ci sono i pappagalli, le galline e i polli. La loro funzione è fondamentale: dare l’allarme in caso di presenza di gas tossici nell’aria. Sembrerebbe infatti che grazie al loro apparato respiratorio, i gallinacei siano in grado di percepire molto prima dell’uomo una qualsiasi alterazione dall’aria causata dall’impiego di agenti tossici chimici. Forse alcuni dei nostri lettori ricorderanno le gabbie trasportate dai carriarmati americani che entravano per la prima volta a Bagdad. Ebbene, in quelle gabbie viaggiavano dei pennuti che, in caso di attacco chimico, avrebbero dato un chiaro allarme ai soldati in tempo utile per indossare le maschere e tutto l’equipaggiamento anti-NBC.

© David Cenciotti

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