La fine della Guerra Fredda, la conclusione della contrapposizione tra i due blocchi e il conseguente traumatico dissolvimento della potenza sovietica, non solo cambiarono le sorti del pianeta, ma furono anche le cause scatenanti di una serie di sostanziali trasformazioni in seno all’Aeronautica Militare Italiana. Snellita nella struttura ed ottimizzata per gestire al meglio le risorse disponibili, è innegabile che oggigiorno l’Arma Azzurra sia strategicamente pronta anche a respingere una minaccia proveniente da Est, vale a dire dalla Penisola Balcanica. L’Allied Force, il rafforzamento delle basi che si affacciano sulla costa Adriatica (Amendola e Gioia del Colle), e il dispiegamento di reparti ad oriente sono la prova, che il fronte “caldo” del nostro paese, quello da tenere sotto controllo, non è più soltanto quello Africano ma anche quello Balcanico. Oggi, a causa dell’embargo e della fine degli approvvigionamenti sovietici, Tripoli ci guarda meno in “cagnesco” ma per quasi un ventennio, dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90, il Fianco Sud è stato quello a cui l’Italia ha guardato con maggiore preoccupazione. In quel periodo gli “spauracchi” della nostra Difesa Aerea erano la Libia e l’U.R.S.S. poiché i Mig libici e i Tupolev con la stella rossa erano frequenti, quanto indesiderati visitatori dello spazio aereo internazionale e perciò causa molto frequente di Scramble reali dei nostri F-104, specie quando si avvicinavano minacciosamente alle nostre coste. E’ proprio in quegli anni che lo Starfighter costruisce il suo mito, dimostrandosi l’unico aereo in grado di decollare in tempi brevissimi (impensabili per i caccia più moderni) e di salire a velocità bisonica verso gli aerei potenzialmente ostili.
I reparti intercettori che in quegli anni presidiavano lo spazio aereo nazionale erano principalmente due, il 12° Gruppo di Gioia del Colle e il 10° Gruppo di Grazzanise. Dotati in media di 12 velivoli, entrambi potevano contare sull’apporto delle cellule d’allarme, costituite da velivoli provenienti dai gruppi del Nord, basate a Sigonella e Trapani Birgi (che ospiterà negli anni, prima il NODA, Nucleo Operativo Difesa Aerea, e successivamente il ricostituito 37° Stormo). Aeronautica & Difesa ha avuto la possibilità di parlare con il Col. Agrusti che nel 1987, con il grado di Sottotenente, raggiunse il 12° Gruppo del 36° Stormo, per vivere un’esperienza unica fatta di tanto F-104 e di parecchie intercettazioni reali, in un reparto di prima linea dell’A.M. in piena allerta per la “questione libica” (erano passati pochi mesi dal lancio dei missili Scud verso Lampedusa).

“Arrivai a Gioia proveniente dal 20° Gruppo di Grosseto nel Febbraio del 1987” ci ha raccontato Agrusti “il Gruppo allora volava con l’F-104 nella versione S modificata per permettere il lancio del missile AIM-7 Sparrow e i piloti erano distribuiti tra 73a, 89a e 90a Squadriglia”. I neo-assegnati ottenevano al 12° Gruppo prima la LCR, Limited Combat Readiness per la quale erano necessarie 96 ore di volo, e poi la FCR, Full Combat Readiness, cioè la prontezza al combattimento totale, dopo 120 ore di volo sul velivolo. “Il raggiungimento della Combat Readiness era un traguardo molto ambito per un giovane pilota intercettore; il percorso necessario per ottenere questo status prevedeva lo svolgimento di parecchie MIP, Missioni Intercettazione Profilo, che avevano lo scopo di far apprendere al pilota tutte le procedure connesse ad uno Scramble e ad una intercettazione. Prima di tutto era di fondamentale importanza riuscire ad assimilare le tecniche e la fraseologia da utilizzare con il Centro Radar (CRC) e allo stesso tempo continuare a “volare” l’aereo, lo Starfighter non concede poi molte distrazioni….”. I voli di addestramento vedevano impegnati i piloti più giovani in missioni 1 vs 1 (1 contro 1), 2 vs 1 o 2 vs 2 con la funzione di target affidata ad un pilota esperto, un “chase”. Durante l’addestramento era molto importante velocizzare ogni minima azione per riuscire a decollare nei fatidici cinque minuti. “Al reparto, oltre ai piloti in addestramento c’erano ovviamente gli equipaggi che svolgevano il servizio di allarme. Gli Scramble simulati, più frequenti di quelli reali, erano scaturiti dal suono di una sirena modulata mentre i piloti “pronti in cinque” partivano se il suono della sirena era continuo. Il Gruppo nel 1987 si alternava nei turni d’allarme con Grazzanise. Noi montavamo a giorni alterni con il 10° Gruppo: ad esempio loro i giorni pari e noi i dispari. Il reparto in allarme doveva garantire una coppia di velivoli pronti in 5 minuti e una coppia di riserva che aveva 25 minuti di tempo per essere pronta al decollo sempre in 5 minuti, da cui la dizione “pronti in ‘30”. Analogamente il reparto in stand-by garantiva 2 velivoli in grado di decollare in 2 ore. “Praticamente si era d’allarme un giorno sì e uno no, ma anche nel giorno in cui eravamo di riserva dovevamo garantire la prontezza al decollo”.
Ogni cellula d’allarme era costituita da due velivoli, due piloti (un capo allarme ed un gregario), 4 specialisti Crew Chief, due armieri e un aviere autista”. Gli equipaggi erano ospitati in una Palazzina Allarme, nient’altro che un’appendice del Gruppo, organizzata su un piano con mini sale convegno, tavoli e TV e ovviamente con camere da letto. Queste erano tre: una per gli armieri e l’autista, una per i Crew Chief ed una per i piloti. Nella camera dei piloti c’erano due telefoni, uno per le comunicazioni interne ed uno per il collegamento diretto con il Combat Operation Center. Il COC aveva una funzione chiave nell’economia del gruppo intercettore dovendo:
• dare quando possibile preavviso di Scramble;
• fornire con tempestività le variazioni sullo status meteo della base;
• informare sullo status dei NAVAIDS (radioaiuti alla navigazione), pista, luci, barriere;
• informare sulle eventuali variazioni delle condizioni di allarme;
• aggiornare sulle condi-meteo sull’alternato.
Il suono della sirena era l’ultimo atto di una serie di controlli effettuati dal sistema NADGE su tutte le tracce osservate dai nostri radar della Difesa Aerea basati ad Otranto, Jacotenente, Licola, Capo Frasca, Crotone, Mezzogregorio e Marsala. Il III ROC (Regional Operation Centre) di Martina Franca, alle dirette dipendenze della Quinta ATAF, aveva al suo interno una struttura, il SOC (Sector Operation Centre) che ordinava al Centro di Riporto e Controllo, il CRC di zona, il decollo su allarme dei velivoli. Il CRC su linea diretta chiamava il COC della Base che dava inizio alle procedure di Scramble chiamando i piloti in turno d’allarme.
“Al suono della sirena tutto deve seguire una routine in cui nulla è lasciato al caso, altrimenti riuscire a decollare nei famosi cinque minuti è una vera e propria missione impossibile. Ho visto piloti in addestramento decollare dopo 10 minuti perché uno degli step previsti era stato saltato nella concitazione dello Scramble! Esistono varie correnti di pensiero tra i piloti circa le tecniche da usare per rispettare i tempi di decollo: mentre molti dormivano completamente vestiti, personalmente tenevo la tuta stesa ai piedi del letto cosicché potessi indossarla da sotto le coperte al suono della sirena. Facendo perno con il sedere “centravo” gli scarponi posizionati alla distanza giusta accanto al letto e correvo via, afferrando, solo in inverno, anche il giubbotto che avevo lasciato sull’appendiabiti”.

Usciti dalla Palazzina Allarme i piloti correvano verso gli shelters dei velivoli. Solitamente gli F-104 erano ricoverati molto vicino al Gruppo, raramente quindi si ricorreva al pulmino, e il velivolo più vicino tra i due spettava di diritto al capo coppia.
“I velivoli in hangar erano stati già controllati e organizzati in modo tale che tutto il restante flight gear fosse al posto giusto. Dopo aver effettuato le “5 dita” la mattina all’inizio del turno (utilizzando le dita della mano si richiedono al crew chief una serie di controlli visivi), posizionavo il SECUMAR sulla scaletta, il cosciale sulla paratia cockpit con lo skull cap (sottocasco) appoggiato sopra, e i guanti, uno a destra ed uno a sinistra.
Visto che in caso di decollo non ci sarebbe stato tempo di effettuare molti controlli, l’ispezione mattutina prevedeva anche una prova del radar e dell’armamento, in particolare l’AIM-7 o l’Aspide, che consisteva in lock-on di test effettuati a vari regimi di motore. Si accendeva anche il generatore a 28V per far scaldare la piattaforma LN3.
La regola principale dello Scramble era NON FARSI MALE, quindi era importante fare in tempo ma senza pregiudicare la sicurezza propria o altrui.
Appena entrati nell’abitacolo si dava lo “starter” s’indossava il casco e si collegava la maschera, ci si legava al Martin Baker e ci si assicurava che gli specialisti avessero già dato aria al compressore.
Si effettuava subito un check radio con il collega sulla frequenza UHF di gruppo e quindi si contattava la Torre di Controllo per richiedere il decollo con priorità.
Con uno spunto di motore, necessario a superare l’inerzia del velivolo, si iniziava il rullaggio durante il quale si effettuavano i controlli. Gli armieri ci attendevano per togliere le spine all’armamento, quindi, si copiavano su un apposito modulo custodito nel cosciale, i dati dello Scramble comunicati dalla Tower. Queste erano magre informazioni fornite in codice che racchiudevano tuttavia fondamentali indicazioni sulla missione che si stava per affrontare:
– il vettore per il target
– il tipo di salita, che poteva essere di due tipi: con post-bruciatore inserito (“gate” in gergo) o con potenza a Military (“booster”)
– il tipo di missione, generalmente per ID, Identificazione dello zombie.
I decolli avvenivano sempre dalla pista 14R che non era la più vicina agli shelters questo perché la 14L, attraversata per raggiungere la R, non era utilizzabile in quanto non dotata di Bliss Back.I parametri limite per il decollo erano:
– vento in coda 30 Kts con temperatura sotto i 20°C
– vento in coda 20 Kts con temperatura sopra i 20°C
Con vento superiore si andava a decollare per QFU opposto cioè per 32.
Una volta decollai con vento forte, 8/8 di strati a 300ft e temperatura poco al di sopra dello zero.
Poiché era necessario rullare per tutta la pista in caso di necessità di utilizzo delle 32, il COC autorizzava un delay di due minuti ai canonici cinque e conseguentemente il decollo doveva avvenire al massimo entro sette minuti dal suono della sirena”.
Il tempo di decollo era calcolato dal suono della sirena, al momento in cui il primo velivolo lasciava i freni per iniziare la corsa d’involo. La regola era che il primo aereo che arrivava in pista decollava per primo, indipendentemente dal fatto che si trattasse di quello del leader o del wingman, perché la cosa importante era il risultato del “team”.
Subito dopo il decollo si contattava, via radio, l’Approach e successivamente il GCI, il controllore Guida Caccia Intercettori, su una frequenza “taboo” conosciuta dagli equipaggi e fornita in codice dal controllore.
Se la missione era per ID (identificazione), si raggiungeva il target nel minor tempo possibile, il leader andava in “shadowing”, cioè seguiva l’intruso per determinarne la quota, la velocità, la prua, il tipo d’aeromobile, la nazionalità e il serial e comunicarli al Guida Caccia. “Era molto difficile andare a leggere il codice di un Bear sovietico in volo a 45.000 piedi a 0.5 di Mach. In questi casi era necessario mantenere l’aereo molto cabrato, a bassa velocità e con lo shacker in funzione (è un sistema che fa vibrare la barra per avvertire il pilota dell’approssimarsi del pre-stallo, è seguito dal kicker che spinge automaticamente in avanti la barra per evitare lo stallo). Di notte, malgrado questi aerei avessero tutte le luci accese (altrimenti si sarebbe trattato di un chiaro atto ostile cui rispondere con il fuoco), riuscire a copiare il “numero di carrozzella” degli zombie era veramente molto complicato”. Il più delle volte il CRC richiedeva una foto dell’intruso e per questa ragione entrambi i piloti portavano una macchinetta fotografica nella tasca sinistra della tuta di volo, all’altezza della gamba, cosicché se uno dei due avesse abortito la missione per motivi tecnici, l’altro avrebbe potuto portare indietro un’immagine per l’Ufficiale Intelligence. La tasca era quella sinistra perché la mano destra non poteva essere mai tolta dalla barra.
“Il wingman nel frattempo si posizionava in coda al target per tenerlo sotto controllo. A quei tempi c’era un via-vai di aerei russi di tutti i tipi che attraversavano il Canale d’Otranto diretti in Libia. Il più delle volte ci spingevamo al confine della FIR di Brindisi, in pieno Canale d’Otranto per identificare dei velivoli per richiesta del SOC che puntualmente si rivelavano essere “May”, “Candid”, “Blinder” o addirittura “Bear”. Un Tu-16 “Badger” una volta provò a spaventarmi girando la torretta mitragliatrice di coda verso di me e fotografandomi, ma questo tipo di scherzi, abbastanza frequenti, non erano considerati atti ostili e non necessitavano una risposta armata. Questi incontri “ravvicinati” erano freddi e ricchi di tensioni ma da entrambe le parti si operava con estremo rispetto.
Nella mia carriera ho effettuato molte intercettazioni, anche aerei civili sprovvisti di Diplomatic Clearance per il sorvolo del nostro spazio aereo e perfino un lentissimo Piper in difficoltà.

Dopo quasi sei anni di vita nel 36° Stormo e poco meno di 1.000 ore volate sullo Starfighter, il Col. Agrusti, ha lasciato nel Dicembre 92 il 12° Gruppo Caccia Intercettori Ognitempo, per conseguire il brevetto d’istruttore su T-38 presso il 90th TFS di Sheppard, Texas. Tornato in Italia nel 1996, a Lecce presso il 61° Stormo, è stato Comandante del 212° Gruppo sul nuovo MB-339CD. Attualmente presta servizio presso l’Ufficio del Capo di Stato Maggiore a Roma.

© David Cenciotti

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 175, Maggio 2001 di Aeronautica & Difesa

Malgrado volasse con una registrazione civile, questo An-22 operava per l’aviazione sovietica. Il “Cock” era utilizzato per il trasporto di mezzi e materiale destinati alla Libia e all’Algeria.

Anche l’Il-76 “Candid” era un visitatore abituale dello spazio aereo internazionale ai confini con quello italiano.

Il Tu-16 “Badger” era uno degli “zombie” intercettato più di frequente dagli F-104 italiani.







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