Questo articolo è stato pubblicato su Rivista Aeronautica nel 2004

Il 36° Stormo, l’unico a mantenere la doppia specialità, è probabilmente il reparto di volo più atipico dell’Aeronautica Militare. Non è quindi un caso che uno dei suoi gruppi sia stato destinato ad assolvere un ruolo pionieristico nell’ambito della difesa aerea: quello di Slow Mover Interceptors. Forti dell’esperienza acquisita con il Tornado F.3, gli equipaggi del 12° Gruppo operano infatti da metà settembre con il “nuovo” MB-339CD per sviluppare tattiche d’impiego che permettano di contrastare minacce aeree in volo a bassa quota e a bassa velocità. Dalla base di Gioia del Colle anche il 156° Gruppo, specializzato nell’attacco al suolo, fornisce un importante contributo alla guerra asimmetrica al terrorismo dedicando una cospicua fetta della propria attività di volo alle missioni di interdizione aeronavale.

Dopo aver attraversato in lungo e in largo il centro storico di Gioia del Colle nel tentativo di uscire dal groviglio di sensi unici che regola la circolazione all’interno della cittadina pugliese, percorriamo finalmente il rettilineo che costeggia il perimetro aeroportuale e che conduce all’ingresso dell’“Antonio Ramirez”, sede del 36° Stormo “Helmuth Seidl”. Dopo aver sbrigato le consuete procedure di identificazione e superato il controllo del posto di guardia, imbocchiamo il suggestivo viale alberato che dall’ingresso dell’aeroporto porta all’immenso piazzale bandiera di fronte al quale sorge l’Ufficio Comando. Per quanto breve, il tragitto è l’occasione per fare un primo giro d’orizzonte su uno degli aeroporti militari più grandi d’Italia. Il sedime occupa un’area di 540 ettari ed è situato a meno di un chilometro dalla periferia sud della città di Gioia del Colle in una depressione dell’Altopiano delle Murge più o meno a metà strada tra lo Ionio e l’Adriatico. L’area operativa si sviluppa prevalentemente lungo il bordo orientale della pista 14L/32R, una striscia d’asfalto di 3 chilometri che data la vicinanza con gli shelter corazzati dei due Gruppi di volo (ospitati alle due estremità opposte, come nella migliore tradizione) è anche quella utilizzata più di frequente dai velivoli di base. L’altra pista, la 14R/32L, pur avendo una lunghezza pressoché identica alla “principale”, ha una larghezza superiore (45 metri contro 30), caratteristica che la rende idonea all’atterraggio di velivoli di dimensioni maggiori. La conformazione morfologica del suolo su cui sorge l’aeroporto dà ad entrambe le piste una leggera inclinazione, particolarmente evidente se ci si ferma ad osservare l’aeroporto dalla strada che conduce dall’area est a quella ovest della base all’altezza del semaforo che regola l’attraversamento del prolungamento asse pista. In pratica, la testata sud ha un’elevazione di alcune decine di metri superiore rispetto a quella opposta, il che si traduce in una corsa di decollo in leggera discesa per gli aeromobili in decollo dalla 32R o L. La presenza di due piste parallele, entrambe attrezzate con aiuti visivi e strumentali all’avvicinamento, barriere Safeland e cavi d’arresto del tipo Bliss Bak, garantisce la continuità dello svolgimento delle operazioni della base anche in quei casi di indisponibilità della pista in uso a causa di velivoli in avaria. Tuttavia, alla presenza di due piste in grado di sostenere un’intensa attività di volo e garantire un’elevata ricettività di velivoli, fa da contraltare l’assenza di aree di parcheggio compatibili con la movimentazione a terra di cargo e aerei da trasporto di elevate dimensioni, e di un sistema viario interno adatto alla circolazione di un numero elevato di mezzi di trasporto. I tre piazzali di cui è dotata la base (Alpha, Oscar e Mike) non sono in grado di ospitare velivoli “wide-body” e anche i velivoli compatibili con le dimensioni delle aree di manovra (per intenderci, delle dimensioni di un B-707TT) dopo l’atterraggio sono costretti ad impegnare la parallela e il raccordo Echo per le operazioni di rullaggio e carico/scarico merci. A parte i problemi con i trasporti, a Gioia del Colle non manca di certo lo spazio: la base è costellata di shelter corazzati che affiorano dalla terra un po’ ovunque nel pieno rispetto del principio di dispersione cui non si sottraggono le margherite realizzate nella zona sud, in prossimità delle testata delle piste 32, per ospitare il distaccamento della RAF all’epoca delle operazioni nella ex-Jugoslavia. Di conseguenza, oltre ai velivoli del 36° Stormo, l’“Arturo Ramirez” può ospitare qualcosa come una quarantina di velivoli rischierati o in transito. La base è dotata oltretutto di un controllo radar di avvicinamento che gestisce il traffico aereo entro il CTR di Gioia (una porzione di spazio aereo della FIR di Brindisi a protezione dei circuiti dell’aeroporto) e di GCA per gli avvicinamenti di precisione. E’ evidente che Gioia del Colle, un vero e proprio avamposto di rilevanza strategica situato nel mezzo al Mediterraneo, sia sempre più frequentemente scelta per ospitare importanti esercitazioni nazionali ed internazionali: a parte il ciclo di Giopolis, ormai di casa nella base pugliese, è di questi giorni la notizia che la base del 36° Stormo è stata scelta per ospitare l’unica tappa “fuori area” del Tactical Leadership Program (TLP) in programma nel mese di novembre del 2005.

Lo Stormo

Il 36° Stormo, alle dipendenze funzionali della Divisione Caccia “Aquila”, ha almeno in apparenza l’organizzazione classica di un qualsiasi reparto di prima linea dell’Aeronautica Militare: il Comandante, colonnello Roberto Boi, ha alle sue dirette dipendenze i due Gruppi di volo, il 12° e il 156° Gruppo, e si avvale di organi di Staff attraverso i quali esercita le proprie funzioni di comando tra cui l’Ufficio Comando, l’Ufficio Operazioni e il medico di Stormo. Completano la struttura il 436° Gruppo STO, da cui dipende il Centro Manutenzione, il 536° Gruppo SLO, la 636^ Squadriglia Collegamenti, il Servizio Amministrativo e il Gruppo Difesa, all’interno del quale è inquadrata la 736^ Batteria Spada. Fin qui nulla di strano, se non fosse per la presenza di due gruppi di volo con ruoli diversi, attacco al suolo e difesa aerea. La doppia specialità è la caratteristica che fa di questo Stormo una realtà unica nell’organigramma di una Forza Armata in cui la catena di comando è verticale, con i vari stormi che fanno capo a Divisioni specializzate per ruolo.
Comprensibilmente, un reparto come questo è in realtà un’organizzazione molto complessa che oltre a garantire una presenza militare in una regione posta alla confluenza delle crisi europee più recenti, fa sentire il suo peso anche sull’economia della Puglia, riversando un considerevole indotto finanziario sul paese di Gioia del Colle e sulle aree limitrofe. In una provincia dalla vocazione agricola in cui trovano spazio anche insediamenti industriali di tipo pesante, tutte le attività che ruotano attorno al 36° Stormo e alla base di Gioia del Colle si traducono in importanti opportunità di lavoro per le piccole e medie imprese locali, oltre che per i giovani. Come ci spiega il colonnello Boi: “Quello geopolitico è solo uno degli aspetti che rendono importante la nostra presenza in questa regione. Siamo perfettamente integrati con la comunità locale che usufruisce di alcuni dei servizi che eroghiamo a favore della popolazione ed abbiamo stretto importanti rapporti di collaborazione con le istituzioni locali. Tanto per fare un esempio, abbiamo l’unica scuola nel Comune che offre il tempo pieno per gli scolari delle elementari e dell’asilo, un servizio molto apprezzato da quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano tutto il giorno. L’istituto sfrutta alcuni locali situati presso il Villaggio Azzurro forniti in comodato d’uso al Provveditorato affinché possa gestire nella massima autonomia l’attività didattica. A parte un certo numero di posti riservati ai figli del personale di base, la scuola è aperta a tutti ed è ovviamente una tra le più richieste della zona. Non solo: organizziamo periodicamente una serie di corsi a favore della comunità che vanno dalla prevenzione antincendio, al pronto soccorso, all’antinfortunistica, alla meteorologia, in cambio dei quali ci vengono offerti corsi di inglese e di perfezionamento in strutture esterne all’aeroporto”. L’osmosi con la popolazione è favorito anche dal fatto che la maggior parte del personale della base è originario della Puglia e vive con le proprie famiglie fuori dall’aeroporto favorendo la creazione di un clima amichevole nei confronti degli uomini con le stellette. Per queste persone il 36° Stormo mette a disposizione ogni giorno una capillare rete di trasporti militari che collegano la base con diverse località in un raggio di 130 chilometri da Gioia del Colle. “Qui a Gioia abbiamo un pendolarismo notevole: oltre alla linea che collega la base a Bari, tre pullman da 50 posti garantiscono il trasferimento quotidiano in aeroporto del personale che vive nella regione del Salento”.
Ma torniamo agli aspetti operativi della vita del 36° Stormo. La particolarissima configurazione, con due gruppi di volo specializzati in missioni diverse permette l’organizzazione di eventi addestrativi complessi con una certa frequenza. “Lavorare a stretto contatto di gomito con un gruppo specializzato in un’altra tipologia di missione permette di organizzare su base pressoché giornaliera sortite caratterizzate da un elevato grado di realismo e quindi molto paganti da un punto di vista addestrativo. Altrove queste mini-esercitazioni richiederebbero un cospicuo lavoro di coordinamento che qui a Gioia abbiamo la fortuna di sostituire con un contatto quotidiano, diretto, tra gli equipaggi. Dal briefing della mattina, al caffè al circolo ufficiali dopo pranzo, ogni incontro è un’occasione di confronto che favorisce una cooperazione organica e una crescita armonica dei due gruppi”. La sana rivalità, corroborata dall’orgoglio di appartenere ad una specialità dalle antiche tradizioni è solo l’aspetto più propagandato di un rapporto di collaborazione che attraverso un costante travaso d’esperienze permette una crescita delle reciproche professionalità. “Ai tempi in cui ero Comandante del 156° Gruppo, il 12° iniziò ad essere impiegato nelle prime missioni di difesa aerea nell’ambito del dispositivo NATO per la crisi nei Balcani. All’epoca, mentre il 156° aveva già avuto modo di prendere parte ad operazioni come la Desert Storm, la Deny Flight e la Sharp Guard, il 12° non aveva ancora avuto modo di misurarsi con le problematiche proprie dell’impiego reale. In quell’occasione, la vicinanza (non solo geografica) dei due gruppi permise ad alcuni di piloti del 156° di spostarsi letteralmente dall’altra parte della pista per supportare i colleghi del 12° nelle fasi iniziali delle operazioni e il risultato fu che i Tornado F.3 furono in grado di montare d’allarme per la crisi nella ex-Jugoslavia a tempo di record”.
A chi lo visita in questi giorni, il 36° Stormo appare come un vero e proprio cantiere: mentre il 156° Gruppo continua a consolidare le proprie esperienze sul Tornado IDS, il 12° sta gradualmente “cambiando pelle” per adattarsi al nuovo ruolo SMI (Slow Movers Interceptor). “L’Aeronautica Militare ha deciso di fare del 12° Gruppo una sorta di nicchia d’eccellenza per lo studio delle capacità del mezzo aereo di opporsi a minacce di tipo asimmetrico. E’ ormai fin troppo ovvio che l’11 settembre 2001 abbia rivoluzionato il concetto di difesa aerea; l’Aeronautica Militare, tra le prime forze aree al mondo, ha deciso di dedicare un Gruppo di volo alla difesa aerea dai cosiddetti “slow movers”, velivoli leggeri o ultraleggeri, ed elicotteri, che in virtù delle proprie caratteristiche di volo potrebbero sottrarsi all’avvistamento dei radar e all’intercettazione da parte di velivoli dalle alte prestazioni per attaccare obiettivi sensibili o compiere azioni dimostrative. Abbiamo ricevuto 3 velivoli del primo lotto a metà settembre e abbiamo già formato un primo nucleo di 4 piloti. Di questi, 2 sono Istruttori che hanno conseguito la Combat Readiness e la qualifica al rifornimento in volo e che ci permetteranno di formare gli altri. Abbiamo già svolto attività di tiro reale con il cannone al Poligono di Punta della Contessa ma siamo solo all’inizio, la specialità è ancora tutta da esplorare e c’è molto lavoro da fare. Per quanto riguarda il 156° Gruppo, la storia è diversa. Tutto procede in accordo ad un programma a lungo termine stabilito ormai da tempo: nel futuro delle “Linci” c’è l’aggiornamento di mezza vita del Tornado e poi l’Eurofighter, un velivolo che equipaggerà sia la componente da difesa aerea che quella da attacco al suolo del 36° Stormo”.

Il Gruppo degli “Strali”

Il 12° Gruppo è situato nell’area prospiciente il piazzale Alpha, nella zona nord della base, non distante dall’Ufficio Comando. Il reparto dispone di un container destinato agli equipaggi d’allarme, piazzato praticamente ai bordi di una via di rullaggio, e di una specie di villetta all’interno della quale oltre ai locali prettamente operativi è presente una sala piloti resa famosa dall’impressionante quantità di foto di velivoli intercettati che i piloti mostrano con orgoglio a tutti i visitatori. Le immagini dei vari Tu-16, Tu-22, An-24 e Il-38 immortalati sul Canale d’Otranto o sul Mar Ionio durante gli ultimi 30 anni di scramble, adornano alcune pareti del circolo e testimoniano l’importanza del Gruppo e della base di Gioia del Colle per la difesa del Fianco Sudest della penisola. Il Gruppo ha a disposizione diversi shelter oltre ai ricoveri non induriti preparati nel 1999 per accogliere i Tornado F.3 del 21° Gruppo giunti da Cameri; uno spazio che permetterebbe di ospitare qualcosa come una ventina di aerei anche se in questi giorni gli shelter sono vuoti e le dodici macchine che costituiscono la dotazione standard di un reparto di caccia intercettori sembrano essere solo un lontano ricordo. Pur essendo articolato in via temporanea su due linee di volo, il reparto dispone di soli 8 velivoli: oltre 5 Tornado F.3, di cui solo 4 ancora operativi, sono presenti a Gioia del Colle i primi 3 MB-339CD che il Gruppo impiegherà in attesa dell’Eurofighter. Il 12° è infatti il primo reparto italiano ad essere destinato al ruolo SMI in risposta all’esigenza della Forza Armata di disporre di personale con notevole esperienza nel campo della difesa aerea con cui sviluppare tecniche efficaci per contrastare minacce di tipo slow moving. I primi 339, mezzi ideali per l’intercettazione di velivoli ostili nel range 100-300 nodi, sono arrivati il 16 settembre e dopo una settimana di operazioni condotte con i colori del 61° Stormo, dal 24 settembre volano con le insegne del 12° Gruppo. Come ci spiega il comandante, il maggiore Luca Spuntoni: “I velivoli sono in carico al 36° Stormo sia dal punto di vista dell’utilizzo sia dal punto di vista della gestione. Per il momento abbiamo solo 3 macchine ma contiamo di raggiungere la configurazione prevista a regime, con 6 velivoli, entro la fine di ottobre. Il Gruppo ha iniziato la conversione a giugno usufruendo del supporto fornito dal 61° Stormo e ha lavorato tutta l’estate per essere pronto sul nuovo velivolo prima del phase-out completo dell’F.3. Abbiamo già conseguito un risultato importante: pur operando su due fronti siamo riusciti a dare continuità al nostro impegno nella difesa aerea riuscendo ad essere operativi con l’MB-339CD un paio di mesi prima del previsto”. Il CD è un aereo della nuova generazione che si adatta perfettamente al ruolo di “gap filler” tra il Tornado F.3 (che ironia della sorte doveva assolvere la stessa funzione) e l’Eurofighter. Il velivolo è dotato di HUD e dispone di tre MFD per mezzo dei quali è possibile gestire tutte le informazioni rese disponibili dal sistema; praticamente gli strumenti analogici si riducono all’altimetro, all’anemometro, al variometro, all’indicatore dei giri e a quello della temperatura del getto. “Dal punto di vista avionico, il nuovo velivolo è senz’altro una generazione avanti rispetto all’ADV il cui software, pur essendo aggiornato allo standard più recente, gira su un hardware obsoleto, che come concezione è vecchio di una trentina d’anni. Il 339CD ha schermi a colori e strumentazione digitale ma è privo di quel radar, di quel data link, di quei sistemi di autoprotezione e delle prestazioni che sono veri e propri punti di forza del Tornado da difesa aerea”.
I velivoli attualmente impiegati dal 12° Gruppo sono tutti del primo blocco anche se è praticamente certa l’assegnazione nel futuro prossimo di 6 macchine del Block 2 che oltre ad avere dei miglioramenti avionici possono impiegare missili a guida infrarossa AIM-9L Sidewinder e montare il pod FPR (Flight Profile Recorder) per lo svolgimento di attività di tipo Autonomous ACMI.
Una pianificazione capillare, che ha permesso di centellinare nell’arco di quattro mesi le ore di volo, le macchine e gli equipaggi disponibili in base agli impegni, ha consentito una transizione tranquilla di parte degli equipaggi del Gruppo sul nuovo velivolo e il graduale sdoppiamento della linea di volo. Per scongiurare un rapido depauperamento delle potenzialità del gruppo, ancora impegnato in missioni dall’alta valenza operativa, si è deciso di proseguire l’attività sul Tornado con un nocciolo duro fatto di equipaggi “anziani” e di destinare alla conversione sul 339 un mix di equipaggi esperti ed equipaggi più giovani. Così, mentre il Comandante del 12° Gruppo vola ancora con l’F.3 il suo vice ha guidato la transizione sul macchino. La necessità di portare avanti fino alla fine delle ore di volo la linea Tornado è testimoniata dalla partecipazione ai turni d’allarme del Gruppo anche durante i mesi estivi e quindi ben oltre quel 28 aprile che aveva inizialmente sancito la fine delle “montate” degli uomini del 12° sull’ADV. “Il nostro impegno nei turni d’allarme ha avuto un’appendice imprevista (ma gradita) nei mesi di luglio e agosto nei quali siamo stati chiamati a montare per problemi di efficienza che hanno afflitto altre linee della difesa aerea. Il servizio d’allarme è la ragion d’essere di un reparto di caccia intercettori quindi, con macchine ancora perfettamente efficienti, abbiamo dato la disponibilità a montare fino a metà ottobre, a un mese dall’uscita definitiva dal servizio del velivolo”.
Dei 5 Tornado attualmente a Gioia, uno è stato donato dal Regno Unito all’Italia e verrà esposto al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle. Gli altri quattro, che volano almeno un paio di wave al giorno, verranno restituiti a coppie con cadenza mensile. Il rientro in Gran Bretagna degli ultimi due velivoli è prevista per la fine di novembre, quando una sobria cerimonia metterà la parola fine a un processo di restituzione iniziato alla fine del 2003. Dopo 10 anni di servizio, è tempo di bilanci per gli “Strali” che si apprestano ad abbandonare un aereo per molti versi controverso: “ll nostro bilancio è senz’altro positivo. Nell’arco di 10 anni questo velivolo ha permesso di acquisire un know-how impressionante a livello di Gruppo. La partecipazione ad operazioni reali in Albania, Bosnia e Kosovo ci ha consentito di verificare la bontà di tattiche d’impiego nuove, sviluppate attorno ad un aereo che introduceva in Italia per la prima volta il JTIDS, un sistema che permette lo scambio di dati e informazioni con altri assetti e con centri di comando e controllo per mezzo di data-link. Inoltre, un eccellente radar multifunzione ha conferito un ruolo di “registi dell’intercettazione” a equipaggi che venivano dall’F-104, un intercettore basilare con il quale c’era ben poco da inventare ed era indispensabile il supporto di un guidacaccia. Con il Tornado F.3 si ha una visione d’insieme del teatro di operazioni che aumenta considerevolmente la situational awareness e che permette all’equipaggio dell’F.3 di guidare sul target altri intercettori interpretando il ruolo di mini-AWACS. Inoltre, l’aereo ha un’autonomia impressionante che ci ha permesso di svolgere missioni di pattugliamento a lungo raggio impensabili con lo Starfighter e di conquistare anche un significativo primato: nel corso di una missione di sorveglianza della NFZ istituita sulla Capitale nel corso delle festività natalizie del 2003, uno dei nostri ADV ha stabilito il record di durata per una missione di difesa aerea rimanendo in volo per 6 ore e 30 minuti. Personalmente, lascio un pezzo di cuore su questo straordinario intercettore”.
Nell’arco di un decennio il 12° Gruppo ha vissuto due profonde trasformazioni che non hanno fatto che riaffermare il ruolo pionieristico rivestito dal reparto nell’ambito della difesa aerea: dopo 24 anni di F-104 e 10 di Tornado F.3, gli “Strali” vanno con l’MB-339CD ad interpretare il ruolo di intercettori nella più moderna accezione testimoniando la necessità della Forza Armata di adeguarsi rapidamente ai mutevoli scenari geopolitici moderni. Anche se dare la caccia agli “slow movers” è ben altra cosa rispetto a condurre un’intercettazione in silenzio radio condividendo le informazioni in una sorta di rete privata virtuale, l’esperienza fatta sul Tornado F.3 risulterà molto utile anche per l’attività che gli uomini del 12° si apprestano a condurre con il nuovo velivolo. “Quello che ci portiamo dietro dall’esperienza con il Tornado è il modo di operare. Più che la capacità di handling di una macchina, vogliamo mantenere la mentalità di impiego, che prescinde dal tipo di velivolo impiegato e che ci permette di prepararci meglio all’Eurofighter. Per forza di cose saremo un Gruppo piccolo, con il personale navigante ridotto ad un quarto di quello che era prima della restituzione del Tornado; ciò nonostante ci vogliamo proporre in modo serio e realistico come un reparto altamente specializzato, in grado di fornire una capacità di opporsi alla nuova minaccia in maniera standardizzata. Il nostro nuovo compito è sviluppare procedure e tattiche d’impiego nel nuovo ruolo basandoci sull’esperienza acquisita con diverse tipologie di caccia. C’è una volontà ben precisa a livello di Stato Maggiore che ci vuole come un polo di ricerca e sviluppo dal punto di vista della nuova minaccia asimmetrica ed è per questo che abbiamo già contatti con altre forze aeree della NATO per raccogliere il maggior numero di informazioni e per cercare di capire cosa si fa all’estero in questo settore. Miriamo ad essere un punto di riferimento sulle problematiche SMI in ambito nazionale ed internazionale”.
In queste prime fasi di familiarizzazione con la nuova missione è fondamentale il supporto degli equipaggi del 212° Gruppo che oltre ad avere una profonda conoscenza della macchina hanno già avuto modo di operare con l’MB-339CD nel ruolo SMI. Non a caso i piloti del 12° Gruppo hanno effettuato il corso di conversione a Lecce dove, lavorando quotidianamente con colleghi che nel recente passato hanno preso parte ad operazioni come la “Giotto” e la “Lavinium”, hanno potuto integrare la propria esperienza maturata in seno al 36° Stormo, con le “lessons learned” acquisite nelle missioni reali dagli istruttori del 61° Stormo. Inoltre, già prima del trasloco a Gioia, il 12° Gruppo ha iniziato una cooperazione in ambito nazionale con gli elicotteri del 72° Stormo e con gli SF-260 del 70° Stormo che si prestano idealmente ad interpretare la parte dei “cattivi” per gli MB-339CD impegnati in addestramento SMI. Dall’anno prossimo è previsto un impiego congiunto con reparti stranieri per facilitare il travaso di esperienze con realtà estere simili ed acquisire una discreta capacità operativa “mobile”. E’ infatti probabile che il reparto sia chiamato a svolgere la nuova missione da basi di rischieramento prossime agli obiettivi sensibili che gli MB-339 dovranno difendere ed è quindi fondamentale saper affrontare una trasferta che preveda il trasferimento di uomini, mezzi e materiale di supporto. Ma gli impegni che aspettano gli uomini del 12°Gruppo non si esauriscono qui. Oltre alla definizione delle geometrie d’intercettazione e lo studio delle tecniche d’impiego dell’armamento vanno anche sviluppati programmi addestrativi specifici per i piloti destinati al ruolo SMI. Inoltre, benché il pane quotidiano del 12° Gruppo sarà l’intercettazione di velivoli in volo a bassa quota e velocità, non è da escludere un impiego degli MB-339CD nel ruolo Aggressors per l’addestramento degli altri reparti caccia intercettori sul modello di quanto messo in campo dall’USAF o dalla US Navy in questi anni. Questo tipo di attività richiederà ai piloti del reparto un’ottima conoscenza del velivolo, del suo inviluppo di volo e delle tecniche di dogfighting ed è proprio per questa ragione che fin dal loro arrivo a Gioia del Colle e per tutta la durata della convivenza con gli ADV, oltre all’addestramento specifico nell’intercettazione di velivoli lenti, gli MB-339CD saranno impegnati in missioni di tipo DACT (Dissimilar Air Combat Training) con i Tornado F.3.
Discorso a parte merita il destino dei navigatori. L’MB-339CD verrà impiegato con un solo pilota (per il momento è stata scartata l’idea di impiegare due piloti sullo stesso velivolo) quindi, a parte i pochi ufficiali necessari a garantire l’operatività della linea Tornado fino a fine novembre, tutti gli altri navigatori hanno già preso altre strade. Alcuni dei più giovani sono stati assorbiti dalle linee ECR ed IDS mentre quelli con maggiore esperienza sono stati destinati agli AWACS o alla ground school dell’Eurofighter dove potranno mettere a frutto l’esperienza nella gestione dell’intercettazione acquisita dal cockpit del Tornado F.3.

156° Gruppo: nella tana delle linci

Situato dalla parte opposta dell’aeroporto, in prossimità della testata sud delle piste, il 156° Gruppo occupa un edificio su due piani di fronte al quale fa bella mostra di sé un F-104 “gate guardian” che sfoggia i colori del reparto e il caratteristico lampo giallo sulla deriva. Gli spazi a disposizione del Gruppo sono decisamente superiori a quelli occupati dal 12° probabilmente perché previsti per ospitare il doppio dei “naviganti” richiesti dal biposto in tempi in cui i dirimpettai volavano ancora con lo Starfighter. La palazzina del 156° è divisa funzionalmente in due parti: nella prima trovano spazio l’ufficio del Comandante, la sala piloti e tutti gli ambienti non direttamente legati all’attività operativa; l’altra è un vero e proprio bunker con tanto di porta corazzata, che ospita la sala Briefing, la sala Nav, quella TLC e quella intelligence. I Tornado IDS, con il quale le “Linci” volano dal lontano 1984, sarebbero almeno sulla carta i 18 assegnati di consueto ad ogni gruppo di cacciabombardieri anche se tra manutenzioni, rischieramenti ed esercitazioni varie ce ne sono meno di una decina disponibili per l’attività giornaliera, quantità comunque più che sufficiente per conseguire gli obiettivi addestrativi previsti per il reparto. Difatti, nelle odierne operazioni reali non esiste più il concetto di Gruppo come entità a sé stante dotata di un numero preciso di velivoli; si opera nell’ambito di nuclei o distaccamenti, con uomini e mezzi provenienti da altre basi ed altri reparti. Un esempio abbastanza esplicativo in tal senso è la costituzione dell’“Unità operativa Tornado”, proprio a Gioia del Colle all’epoca del conflitto in Kosovo, con il contributo di velivoli ed equipaggi del 156°, 154° e 102° Gruppo.
Gli IDS sono ricoverati nei vari shelter che si affacciano sul piazzale Mike anche se alcuni usufruiscono degli spazi liberati negli ultimi anni dal rientro in patria del distaccamento della RAF, impegnato a lungo nelle operazioni sui Balcani. Il 156° è un gruppo cacciabombardieri il che significa che il compito assegnato alle “Linci” è l’attacco al suolo: si va dalle missioni di interdizione, a quelle di contraviazione, al supporto aereo ravvicinato. In virtù della posizione strategica della base di Gioia del Colle, il 156° è chiamato di frequente anche a svolgere attività di supporto alle unità della Marina Militare, nelle TASMO (Tactical Air Support to Marittime Operations), missioni che assumono una particolare importanza in tempi come questi in cui il rischio di attentati kamikaze può materializzarsi sotto forma di una petroliera dirottata o di una nave carica di esplosivo o di gas. Il Mediterraneo è oltretutto un bacino strategico che pur rappresentando solo l’1% della superficie marina vede transitare il 20% del traffico petrolifero mondiale. Oltre ad eventuali attacchi al nostro paese con navi usate come armi improprie, il rischio nel Mare Nostrum è che gruppi terroristici organizzati possano provare a colpire la circolazione marittima commerciale. E’ quindi indispensabile la presenza costante del mezzo aereo sul mare per vigilare ed eventualmente intervenire per la salvaguardia della sicurezza nazionale.
Come ci spiega il maggiore Domenico Lobuono, comandante del 156° Gruppo: “Circa un terzo delle attività del reparto è svolto sul mare, contro ipotetici obiettivi in navigazione. Si tratta di un’attività molto importante come elemento di dissuasione nei confronti di eventuali attaccanti che pensassero di colpire il nostro paese con mezzi navali. In questa tipologia di missioni è fondamentale la collaborazione con la Marina: ogni mese incontriamo degli ufficiali di collegamento per condividere una pianificazione di massima per il mese successivo sulla base dei reciproci impegni. Di concerto con la Divisione Caccia “Aquila” si cerca di coordinare la disponibilità di velivoli ed equipaggi per attività addestrative di tipo TASMO che permettono di soddisfare esigenze che possono nascere da entrambe le parti; mentre loro testano le capacità di scoperta e autodifesa delle loro navi, nel nostro caso la collaborazione della Marina è necessaria per testare le tecniche di attacco e d’impiego del missile”. In virtù di una marcata propensione alle missioni aeromattime il 156° Gruppo è l’unico reparto italiano ad avere in dotazione gli AS-34 Kormoran, missili antinave lunghi 4 metri e mezzo che vengono generalmente montati a coppie sotto la fusoliera e che possono essere lanciati entro un range di una ventina di miglia dall’obiettivo, da una quota di 30 metri sulla superficie del mare. L’impiego del missile antinave ha permesso alle “Linci” di prendere parte alla missione “Sharp Guard” che durante la crisi nei Balcani assicurava la necessaria protezione del traffico navale NATO nell’Adriatico.
Oltre alle TASMO, il Gruppo svolge anche missioni di supporto aereo tattico CAS, sfruttando la presenza di alcuni poligoni situati nei dintorni della base all’interno dei quali vengono anche addestrati i FAC (Forward Air Controller) dell’Esercito. “Dopo il corso applicativo, i FAC dell’Esercito vengono nel poligono di Tor di Nebbia o di Murgia Vecchia Parisi per fare le guide pratiche con noi, con gli AMX di Amendola e gli MB-339 di Lecce. Ovviamente, il nostro velivolo offre diverse opzioni ad un eventuale controllore avanzato di terra potendo utilizzare il laser per illuminare i target per noi stessi o per altri assetti. Ci siamo addestrati con gli AMX che pur potendo lanciare LGB (Laser Guided Bomb) non hanno il puntatore illuminando il loro obiettivo con il nostro CLDP, una pratica nota come “buddy lasing”. Tuttavia gran parte dell’addestramento con le LGB è finalizzata ad un impiego autonomo dell’armamento. Il Tornado è in grado di trasportare bombe a caduta libera come pure armi a guida laser GBU-16 “Paveway II”, GBU-24 e 24 Enhanced “Paveway III”; nel futuro è prevista anche l’integrazione delle “Lizard”israeliane già impiegate dalla linea AMX nella versione a guida a infrarossi.”. La quotidianità del reparto prevede il continuo affinamento delle tecniche di impiego dell’armamento. Malgrado il lancio reale sia limitato alle periodiche campagne di tiro nei poligoni di Punta della Contessa e Decimomannu, il Tornado permette di verificare l’efficacia dell’attacco anche senza ricorrere all’effettivo impiego dell’armamento: “Con il Tornado possiamo fare di tutto, anche riprodurre la sensibilità dei comandi in funzione di una particolare configurazione di peso e di armamento. In pratica, pur non volando con le bombe sotto la fusoliera, agendo a livello di sistema è possibile simulare lo stesso handling richiesto dal pilota. Simuliamo anche l’emissione del laser che in territorio nazionale è consentita solo all’interno del poligono di Perdasdefogu. L’emissione del fascio elettromagnetico è l’ultima di una serie di azioni eseguite dall’equipaggio prima dello sgancio, dopodiché, per la verifica dell’accuratezza dell’attacco, entra in gioco un altro strumento che la Forza Armata ci ha messo a disposizione: il pod FPR”. L’FPR è lo stesso pod impiegato dai reparti intercettori per l’esecuzione delle missioni in modalità Autonomous ACMI. Grazie ad un apposito profilo “bombing” consente di simulare il lancio di una LGB e di individuare con precisione il punto ipotetico di impatto permettendo di valutare l’efficacia del lancio. A Gioia è disponibile una Ground Station, alle dipendenze dello Stormo, che permette di visualizzare tutte le fasi della missione e i profili di volo, ricevendo le informazioni direttamente dai pod in volo oppure dopo l’atterraggio dell’aereo, per mezzo di una specie di Hard Disk estraibile (in gergo “brick”) installato nella parte posteriore del pod. L’FPR è uno strumento molto importante nell’economia delle missioni del 156° che lo impiega con frequenza sempre maggiore per monitorare lo svolgimento di tutte le sortite a bassa quota.
Facendo visita ad un Gruppo Caccia Bombaridieri, non si può far a meno di parlare di bassa quota. Se analizzassimo l’impiego dei cacciabombardieri solo alla luce dei più recenti conflitti potremmo essere portati a considerare il volo a bassa quota un profilo di missione quasi anacronistico. In Kosovo, come in Afghanistan e in Iraq, i bombardieri hanno potuto operare a media-alta quota in scenari bonificati da una credibile minaccia aerea e in presenza di una limitata minaccia contraerea. Ciò nonostante condurre un velivolo “pancia a terra” è ancora oggi una pratica fondamentale per la formazione di un equipaggio cacciabombardiere, poiché consente l’acquisizione di skill indispensabili per operare in scenari reali: “Saper portare un aereo a bassa quota e ad alta velocità significa aver acquisito una concentrazione e una velocità di reazione tali da poter essere impiegati con successo anche in una missione di guerra”. Su una quindicina di equipaggi presenti al 156° Gruppo, solo un terzo è molto esperto e ha maturato esperienze operative in Bosnia e Kosovo; i due terzi del gruppo sono in fase di addestramento ed è quindi chiaro che l’attività principale delle “Linci” è il mantenimento, o il conseguimento, delle varie qualifiche attraverso le quali si ottiene la Combat Readiness (CR). I piloti che giungono al 156° Gruppo hanno completato la prima parte dell’iter alla OCU di Ghedi, dove hanno raggiunto all’incirca il 60% della CR che viene conseguita dopo l’arrivo a Gioia del Colle attraverso 30 ulteriori eventi addestrativi. Nel complesso, l’addestramento non termina alla CR che è solo uno degli step previsti da un percorso suddiviso in 3 Fasi. In particolare, la Fase 1 prevede l’esecuzione di sortite con presenza di caccia a difesa di un obiettivo situato all’interno di una FAOR (Fighter Area Of Responsibility), combattimento 1 contro 1 (perché è fondamentale anche per un bombardiere sapersi difendere dagli intercettori) e si conclude con la partecipazione ad una COMAO nell’ambito di un package composto da vari velivoli. La Fase 2 prevede il consolidamento delle capacità d’impiego mediante partecipazione, in qualità di gregari, ad esercitazioni della portata di una Spring Flag o addirittura di una Red Flag. E’ in questa fase che inizia l’addestramento con gli NVG per la visione notturna. Come ci spiega il capitano Massimiliano Pasqua, pilota del 156°: “In Fase 2 si esegue lo sgancio reale che molte volte sancisce la conquista della tanto agognata Combat Readiness. Tuttavia, più che alla CR, da un po’ di tempo si fa riferimento alla Mission Capability con un particolare sistema d’arma, una qualifica che indica la capacità di un equipaggio di essere impiegato efficacemente in missione che preveda l’impiego di un qualche equipaggiamento particolare o di uno specifico armamento. Oggigiorno, il prerequisito per la partecipazione a complesse operazioni reali non è più la CR sul Tornado bensì la MC con le LGB o con gli NVG”.
La Fase 3 dell’addestramento prevede il mantenimento delle currencies o l’acquisizione delle qualifiche di Capo Coppia, Capo Formazione e Chase per i piloti, e di Navigatore Esperto per i navigatori. In condizioni ottimali il 156° Gruppo dovrebbe avere il 25% degli equipaggi in Fase 1, il 30% in Fase 2 e il 45% in Fase 3, anche se attualmente le percentuali sono invertite. Si tratta comunque di una situazione più che accettabile se si considera che ad una missione reale può partecipare anche un equipaggio in Fase 2, purché Mission Capable.
Di fondamentale importanza nella fase di addestramento degli equipaggi è la frequentazione di alcuni poligoni di guerra elettronica come Polygone o Spadeadam e la partecipazione ai cicli di rischieramento a Goose Bay o ai corsi TLP. Il 156° Gruppo sta per iniziare una collaborazione con l’Armée de l’Air che prevede l’impiego di armamento reale nei poligoni di Solenzara, in Corsica e la partecipazione ad eventi congiunti per l’addestramento notturno con gli NVG. Si tratta di un’attività che vede coinvolto anche il 155° Gruppo di Piacenza, un reparto che vive ormai in simbiosi con il 156° dopo aver sostenuto una Taceval congiunta a Gioia de Colle nel 2001. Tra le più importanti esercitazioni condotte dalle “Linci” nel recente passato, merita una particolare menzione la “Abu Simbel 2003” una campagna addestrativa che ha visto i Tornado IDS del 156° volare in Egitto per stringere importanti legami con un paese culturalmente, oltre che geograficamente, lontano.

© David Cenciotti