Questo articolo è stato pubblicato sul numero 190/191, Agosto/Settembre 2002 di Aeronautica & Difesa

Cosa è cambiato dal G-8 a oggi

Quando i mass media incominciarono a parlare delle misure di sicurezza predisposte per il G-8, circa un anno fa, pochi comprendevano la ragione per cui, per contrastare i No-Global, fosse stato previsto un articolato dispositivo di difesa in grado di respingere un’ampia gamma di minacce provenienti dal cielo. Seppure un’eventuale azione di volantinaggio o il traino di striscioni di protesta fossero forme di contestazione alla portata del cosiddetto popolo di Seattle, ai più, l’utilizzo di CAP (Combat Air Patrol, pattugliamenti di combattimento) con velivoli armati in orbita 24 ore su 24, sembravano un’esagerazione. Dopo essere venuti a conoscenza del fatto che a Genova erano possibili attentati contro Bush e soprattutto dopo aver visto le immagini dell’11 settembre, l’Operazione “Giotto”, prematuramente definita una “spreco di denaro pubblico”, si è tramutata in un’esemplare macchina organizzativa in grado di respingere e soprattutto di prevenire attacchi come quelli contro il World Trade Centre. Il successo “postumo” dell’Operazione “Giotto” ha avuto due effetti: da una parte ha rafforzato il “potere contrattuale” dell’Aeronautica cui viene ormai riconosciuto il ruolo principale nella difesa della nazione, dall’altra, ha rinnovato la consapevolezza dell’urgenza di dotare l’Arma Azzurra di mezzi all’avanguardia per affrontare una ancor più vasta gamma di missioni di protezione del territorio nazionale. Non va infatti dimenticato che se da una parte la nostra forza aerea può garantire la sicurezza di determinate aree, proteggendole per alcuni giorni (per intenderci, lo stretto necessario per lo svolgimento di un vertice o di un meeting internazionale), con gli assetti attualmente disponibili (Tornado F.3, MB-339CD ed F-104) l’Aeronautica Militare non può proprio fornire una protezione credibile qualora la necessità di difesa aerea sia prolungata nel tempo o ancora peggio, distribuita su più obiettivi sensibili. Avere a disposizione qualche velivolo dedicato in più ed almeno un paio di E-3 “di proprietà” (e non in prestito dalla NATO), permetterebbe di affrontare qualsiasi impegno senza la solita “acqua alla gola”. Per il momento, bisogna accontentarsi di ciò che “passa il convento” ed addestrarsi il più possibile a contrastare le minacce sfruttando al meglio i mezzi a disposizione.

Un addestramento mirato

La “Giotto” non è rimasta un episodio isolato: l’Aeronautica Militare ha immediatamente compreso il cambio epocale indotto dagli attentati dell’11 settembre e, alla luce della nuova tipologia di impiego dello strumento aereo in opposizione a minacce terroristiche, ha iniziato ad addestrarsi per ricreare scenari simili a quelli del G-8. La prima esercitazione che riproponeva uno scenario fittizio ma del tutto simile a quello di Genova ha avuto luogo dal 20 al 22 novembre sull’aeroporto di Gioia del Colle. La “Giopolis” (nome composto da “Giotto” e “Neapolis”, le due operazioni cui prendeva spunto, la seconda delle quali organizzata per il vertice dei Ministri della Difesa della NATO originariamente programmato per il 24-25-26-27 settembre a Pozzuoli e poi cancellato) simulava lo svolgimento di un vertice internazionale per il quale il potere aereo garantiva un ombrello protettivo mediante l’istituzione di una No-Fly Zone. L’esercitazione, che ha interessato anche altre basi del sud Italia (Amendola, Grazzanise, Brindisi, Lecce-Galatina), ha visto una componente aerea “tipo” impegnata a respingere numerosi velivoli ed elicotteri che simulavano attacchi di vario genere: dall’aereo civile dirottato, al velivolo ultraleggero, ai velivoli radiocomandati, ai caccia, agli executive VIP, agli elicotteri. Oltre a testare le capacità di risposta ad attacchi dall’aria, lo scopo di una simile esercitazione era anche quello di verificare la validità del sistema di comando e controllo gestito dal Comando Operativo delle Forze Aeree (COFA) di Poggio Renatico, e di avvistamento precoce e di difesa aerea ravvicinata realizzati grazie alle batterie di missili terra-aria Spada. Anche le procedure di autenticazione dei caccia, di identificazione e/o di abbattimento dei velivoli manifestamente ostili sono state messe alla prova con successo, dimostrando che, anche in frangenti di emergenza, il sistema di difesa è già opportunamente rodato.
Metabolizzate le “lessons learned” della Giotto e della “Giopolis”, l’Aeronautica ha potuto affrontare con successo operazioni reali ogni qual volta se ne sia presentata la necessità: in occasione della manifestazione pro-Stati Uniti del 10 novembre 2001, durante il vertice FAO a Roma dal 10 al 13 giugno 2002 e soprattutto durante il vertice NATO a Pratica di Mare del 27 e 28 maggio 2002.

Operazione Kremlin

Durante il vertice NATO del Maggio scorso, gli occhi di tutto il mondo erano puntati sulla base aerea di Pratica di Mare, nei pressi di Roma. Al fine di garantire il regolare e sicuro svolgimento dell’importante evento, l’Aeronautica Militare ha nuovamente messo in piedi uno spiegamento di forze di tutto rispetto costituito da mezzi aerei e terrestri che ha preso il nome di Operazione “Kremlin” (prendendo spunto dal tema del vertice). A proteggere il luogo dell’evento, erano costantemente in volo, in orbite posizionate a ridosso dell’aeroporto di Pratica di Mare, velivoli adatti a fronteggiare qualsiasi tipo di “mover”, dallo “slow mover”, quale ad esempio un ultraleggero o un piccolo velivolo da turismo, al “fast mover”, che poteva essere un velivolo civile o un executive dirottato. Particolare preoccupazione era destata dalla vicinanza dell’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, distante soli 21 chilometri, da dove un velivolo civile dirottato avrebbe potuto raggiungere il luogo dell’evento in una manciata di minuti. A protezione di Pratica di Mare era stata istituita una sorta di No-Fly Zone (NFZ) non del tutto tale perché permeabile ai velivoli civili autorizzati ad operare da e per lo scalo “Leonardo Da Vinci” di Fiumicino. La NFZ, un cerchio di 30 miglia nautiche con centro nella base militare sede dell’evento, impediva il transito ai velivoli in VFR (Visual Flight Rules, in volo in accordo alle regole del volo a vista), al traffico turistico e a tutti i voli in IFR (Instrumental Flight Rules, in volo in accordo alle regole del volo strumentale) ad eccezione di quelli da e per Fiumicino per i quali, come per i voli delle delegazioni in arrivo a Pratica di Mare, erano comunque previsti degli istradamenti particolari. Chiusi gli aeroporti dell’Urbe e Ciampino, il volo sulla città di Roma e nei dintorni era autorizzato ai soli mezzi delle Forze di Pubblica Sicurezza e agli aerei impegnati nei pattugliamenti, purché dotati di sistema di identificazione IFF con squawk (codice) valido.
La componente aerea ricalcava lo schieramento messo in campo per la “Giotto”: quattro MB-339CD del 212° Gruppo di Lecce rischierati a Latina; 4 Tornado F.3 del 12° Gruppo, che operavano direttamente da Gioia del Colle ed usufruivano del rifornimento in volo da parte di un B-707 del 14° Stormo; 2 F-104 del 9° Gruppo di Grosseto; 2 F-104 del 10° Gruppo di Grazzanise; 2 AB-212 e 2 HH-3F in configurazione Combat SAR del 15° Stormo (con tanto di display luminosi per comunicare con i velivoli che si fossero pericolosamente avvicinati al luogo del vertice); 1 P-166DL3 del 71° Gruppo per missioni di ricognizione fotografica; 1 G-222 ed 1 HH-3F entrambi in configurazione MEDEVAC (Medical Evacuation, evacuazione medica).
La base era protetta anche da due sezioni di fuoco Spada mentre un radar MRCS della 122^ Squadriglia Radar Mobile, posizionato internamente all’aeroporto di Pratica di Mare, gestiva il controllo delle missioni e la loro deconfliction grazie all’integrazione della picture (la porzione di spazio aereo sotto controllo) con i radar di Licola e Poggio Ballone, con il radar delle batterie Spada e con quello aerotrasportato dell’AWACS, un E-3 della FOB (Forward Operation Base) di Trapani in orbita sul Tirreno.
L’organizzazione e la gestione della “Kremlin” erano, come al solito, nelle mani del COFA, l’autorità responsabile dell’applicazione delle ROE (Rules Of Engagement, regole d’ingaggio) definite e approvate ai massimi livelli politici e ministeriali e, ovviamente, dettate da regole di proporzionalità rispetto all’offesa e di autodifesa in caso di attacco. Il Comandante Operativo delle Forze Aeree, il Gen. Sciandra, durante tutto il vertice disponeva di una linea “calda” (un vero e proprio telefono rosso), un collegamento diretto con il Presidente del Consiglio; sarebbe quindi spettato a lui decidere, su delega del Capo di Stato Maggiore dell’AM, la risposta adeguata ad un qualsiasi tipo di attacco. Il Gen. Sciandra esercitava questa fondamentale funzione di comando dal bunker di Poggio Renatico mentre a Pratica di Mare era stata allestita una Sala Situazioni ai comandi del Gen. Baldazzi che aveva la delega di assumere il comando delle operazioni, in caso di caduta dei link con il quartier generale del COFA.
Durante i due giorni del vertice, sono state volate tutte le missioni programmate (rateo del 100%) per un totale di 170 ore di volo da parte dei velivoli impegnati. Per garantire una risposta efficace nei confronti di qualsiasi tipo di minaccia erano costantemente in volo almeno 1 coppia di Tornado F.3 armati di missili “SkyFlash” e “Sidewinder” o di F-104 armati di “Aspide” e “Sidewinder”, 1 coppia di MB-339CD con cannoni “Defa” e 1 HH-3F armato di mitragliatrici “Minimi”. Sebbene siano state condotte molte missioni di identificazione visiva VID (Visual Identification), l’episodio che ha messo maggiormente alla prova l’intero sistema di difesa è stato quello, ormai famoso, che ha visto protagonista un Airbus sudanese.

L’intercettazione dell’A-320 della Sudanair

Mancano pochi minuti alle 13 del 28 maggio quando un volo della Sudanair dal Cairo a Parigi, in volo a FL330 (circa 11.000 metri) in avvicinamento al radiofaro di Ponza, cessa di rispondere alle chiamate del controllore civile in servizio presso il CRAV di Roma. L’aereo dispone di tutte le clearance (autorizzazioni) diplomatiche richieste e di un piano di volo approvato e regolare, ma la sua rotta lambirà in pochi minuti la NFZ istituita attorno alla base di Pratica di Mare dove si sta tenendo il vertice NATO. Insospettito dalle mancate risposte del velivolo, il controllore decide di avvertire immediatamente il collega militare dell’SCC, il Servizio Coordinamento e Controllo dell’Aeronautica Militare che è l’ente che ha lo scopo di coordinare lo svolgimento delle normali attività civili con quelle operative e addestrative militari. In pochissimi istanti viene deciso dirigere una formazione già in volo ad identificare il velivolo a scopo precauzionale. Tra i velivoli in pattugliamento, per motivi di autonomia e di vicinanza all’intruso, viene scelta una formazione di due Tornado F.3 del 12° Gruppo, impegnata in una missione di sorveglianza armata nell’ambito della “Kremlin”. Mentre i Tornado vengono dirottati verso quello che è diventato uno “zombie” (un velivolo da identificare) per rimpiazzarli nell’orbita di pattugliamento viene fatta decollare su allarme una coppia di F-104 del 23° Gruppo di Cervia. I Tornado in pochi minuti affiancano l’A-320 sudanese, con marche F-HIMA, a largo di Ponza. Alla vista degli intercettori italiani, le radio dell’Airbus riprendono a funzionare ma a scopo precauzionale i caccia scortano il civile fino al confine della FIR di Roma, dove viene preso in consegna dai radar della Difesa Aerea francese che lo seguiranno fino a Parigi. La situazione d’emergenza è stata brillantemente risolta. Niente di eccezionale per i nostri intercettori, routine quasi quotidiana se non fosse per il fatto che l’episodio è avvenuto durante un vertice che vedeva i più importanti governanti del mondo riuniti in un unico posto!
Quello descritto, pur essendo il più eclatante, non è stato l’unico momento di tensione vissuto durante il vertice: in un’occasione, il radar MRCS di Pratica di Mare ha individuato un velivolo in volo su Roma, a bassa quota e a bassa velocità. Prontamente intercettato da un HH-3F armato, si è scoperto che lo “zombie” stavolta non era altro che un elicottero di una delle Forze di Pubblica Sicurezza che non aveva un codice IFF inserito come da task.

Polizia Aerea e Identificazione della minaccia

Se gli scenari futuri prevedono l’impiego del mezzo aereo a difesa di particolari eventi che potrebbero essere presi di mira da aerei-kamikaze, non va tuttavia sottovalutata la possibilità che un’evoluzione di tali scenari preveda un’azione isolata, condotta contro un obiettivo sensibile, anche al di fuori del contesto di una manifestazione o di un vertice internazionale. Colpire un vertice significherebbe destabilizzare il pianeta, ma anche attaccare, come peraltro già avvenuto, un luogo di particolare significato storico, religioso o culturale, potrebbe avere un risultato pressoché identico, gettando nel panico tutto il mondo. E’ per questo che l’Aeronautica non abbassa la guardia e, con una frequenza ignota alla maggior parte dell’opinione pubblica, interviene laddove un velivolo di qualsiasi tipo, dal “paperozzo” al grande liner civile, abbia un piano di volo incompleto o irregolare, oppure sorgano dei dubbi sulle informazioni inserite nello stesso, o qualora abbia un comportamento anomalo o non risponda alle chiamate radio dei controllori civili.
Dall’11 settembre a tutto il mese di Giugno 2002, i velivoli italiani sono stati impegnati in qualcosa come 30 “Scramble” reali (decolli su allarme) per intercettare e identificare (ed eventualmente anche scortare fuori dallo spazio aereo nazionale) velivoli “sospetti”. Come abbiamo appreso da fonti dell’Aeronautica, la maggior parte di questi interventi ha riguardato velivoli che avevano compilato in maniera incompleta o errata il piano di volo. Inutile dirlo, ma si tratta nella larghissima maggioranza di velivoli appartenenti a stati “sotto osservazione”, tra i quali, tanto per citarne qualcuno, possiamo indicare lo Yemen, il Sudan, la Libia.
Le regole sono sempre le stesse dai tempi della Guerra Fredda: non appena viene riscontrata un’irregolarità nel piano di volo, o un dubbio sulla veridicità delle informazioni inserite nel piano di volo di un traffico in avvicinamento allo spazio aereo italiano, viene fatta decollare una coppia in turno d’allarme. I velivoli intercettori, sotto l’attenta guida del controllore GCI (Guida Caccia Intercettori), vengono fatti avvicinare allo “zombie”, lo identificano leggendone il numero di matricola (in gergo aeronautico, il numero di “carrozzella”) e, a seconda delle necessità, lo scortano fuori dallo spazio aereo nazionale costringendolo eventualmente a variare la rotta qualora, come nel già citato caso del Fokker 50 del 27 ottobre 2001, in volo da Billund (Danimarca) a Tripoli, si preferisca evitare che l’aereo si avvicini troppo, o addirittura sorvoli, città importanti.
In una delle 30 intercettazioni (circa 3 al mese, una ogni 10 giorni) i velivoli oggetto di identificazione visiva da parte della Difesa Aerea erano degli “irroratori”, cioè velivoli utilizzati per lo spargimento degli insetticidi, più volte indicati come strumenti ottimali per attacchi con agenti chimici. Anche se non ne è trapelata la notizia, un’intercettazione del tutto simile a quella dell’Airbus della Sudanair ha avuto luogo anche durante il vertice della FAO di Roma: l’11 giugno scorso una coppia di F-104 italiani ha intercettato e scortato fuori dallo spazio aereo italiano un IL-76 ucraino in volo da Vaasa (Finlandia) a Tripoli, con nominativo VRE 2458 che aveva delle irregolarità sul piano di volo. Malgrado oggi se ne parli un po’ di più va notato che missioni di questo tipo, con frequenza leggermente inferiore, avvenivano regolarmente anche prima dell’11 settembre.

L’F-104 e la velocità di reazione

Come dimostrato da tutte queste missioni reali di intercettazione, la prontezza dei reparti della Difesa Aerea è tale da consentire di respingere, o quantomeno identificare, qualsiasi minaccia ad un’elevata distanza dall’ipotetico obiettivo. Specie l’F-104, il protagonista della maggior parte delle stesse, che equipaggia ancora il 9°, il 10°, il 18° e il 23° Gruppo, grazie alla sua relativa semplicità avionica, è ancora in grado di decollare nei fatidici 5 minuti e di raggiungere l’aereo da identificare in pochissimi minuti, salendo con ratei e velocità ancora da record. Malgrado la sua età, lo Starfighter, che sarà per un altro paio d’anni il principale strumento di lavoro dei nostri reparti della Difesa Aerea, è probabilmente ancora oggi, in questo specifico ruolo, il migliore mezzo schierabile. A dispetto dei suoi detrattori, l’F-104 ha prestazioni ineguagliabili in uno Scramble per una missione di ID (Identificazione): il Tornado F.3, oggi impiega quasi 15 minuti prima di poter decollare in caso di allarme, più o meno gli stessi necessari all’F-16 che nel futuro prossimo verrà impiegato in questo ruolo dai reparti intercettori italiani. Strano ma vero, ma pur utilizzando in aereo molto vecchio, possiamo ancora fare sonni tranquilli sapendo che almeno nello specifico ruolo dell’identificazione precoce della minaccia, abbiamo il mezzo giusto al momento giusto.

© David Cenciotti